Pierluigi Battista
7 gennaio 2015
Gli uomini che a Colonia si sono
avventati come animali sulle donne in festa per il Capodanno volevano punire la
libertà delle loro vittime. Hanno palpeggiato, molestato, umiliato, violentato,
picchiato le donne che osavano andare da sole, che giravano libere di notte,
che si abbigliavano senza rispetto per le ingiunzioni e i divieti consacrati
dai padroni maschi. Consideravano prede da disprezzare e da percuotere le donne
che facevano pubblicamente uso di una libertà che gli stupratori e gli
energumeni di Colonia considerano inconcepibile, peccaminosa, simbolo di
perversione, donne che studiano e lavorano. Che sposano chi desiderano e non il
marito oppressore che la famiglia, la tradizione, il clan assegnano loro. Che
non sono costrette a uscire solo in compagnia dell’uomo prevaricatore. Che
bevono e mangiano in libertà, entrano nei locali, fanno l’amore quando scelgono
di farlo, brindano a mezzanotte, indossano jeans e magliette, flirtano, fanno
sport e si scoprono per praticarlo, hanno la sfrontatezza di festeggiare il
Capodanno con i loro amici maschi. Per chi considera la libertà delle donne un
peccato da estirpare, le donne libere sono delle poco di buono da umiliare, da
riempire di lividi sul seno e sulle cosce aspettandole all’uscita della
metropolitana e con la polizia impotente e immobilizzata. Come si fa con gli
esseri considerati inferiori.
Come è accaduto a Colonia in una tragica
e sconvolgente prima volta nella storia dell’Europa contemporanea in tempo di
pace. È stato un rito di umiliazione organizzato, coordinato, diretto a colpire
quello che oramai comunemente viene definito uno «stile di vita».
Nonostante i
retaggi del passato, nonostante le tenebre oscurantiste che ancora avvolgono
come fumo di un passato ostinato le città e persino le famiglie dell’Europa
figlia dell’Illuminismo, malgrado i branchi di lupi che infestano i nostri
Paesi e fanno morire di paura le donne che si avventurano sole, le ragazze
indifese di fronte al bullismo e al teppismo, malgrado tutto questo, la libertà
della donna resta pur sempre un principio e una pratica di vita inimmaginabile
in altri contesti culturali, in altri sistemi di valori.
Ed è l’incompatibilità valoriale con
questo spirito di libertà che le bande di Capodanno hanno voluto manifestare
contro le donne che andavano a ballare, a bere, a baciare anche.
Non capire il senso di «prima volta» che
gli agguati di Colonia portano con sé è un modo per restare ciechi, per non
capire, per farsi imprigionare dalla paura e dall’afasia.
Così come non abbiamo voluto vedere,
abbiamo fatto finta di niente, siamo restati volontariamente ciechi quando al
Cairo, nella leggendaria piazza Tahrir, la «primavera araba» diventò cupa e le
donne a decine cominciarono in nome dell’Islam ad essere aggredite, molestate,
violentate dai super-fanatici del fondamentalismo misogino. Ora dovremmo
cercare di capire che nelle gesta di prevaricazione degli uomini che odiano le
donne libere si riflette un gesto di aggressività valoriale di stampo
irriducibilmente sessista e non lo sfogo barbarico di un primitivismo
pulsionale. Un atto di sopraffazione culturale, non di ferocia animalesca e
irriflessa.
Con tutte le cautele e il senso di
responsabilità che si deve in questo genere di problemi, Colonia ha lo stesso
significato di aggressione simbolica dell’irruzione fanatica nella redazione di
Charlie Hebdo : lì veniva scatenata un’offensiva mortale contro la libertà
d’espressione, considerata un peccato scaturito nel cuore del mondo infedele;
qui contro la libertà della donna, la sua emancipazione impossibile e temuta in
contesti culturali che danno legittimazione ideale e persino religiosa al
predominio e alla sopraffazione del maschio. Certo, è diverso lo sterminio dei
vignettisti dalle botte umilianti di Colonia. Ma c’è un comune sostrato
punitivo, l’identificazione di un simbolo culturalmente indigeribile che
stabilisce una distanza abissale tra uno «stile di vita» libero e una mentalità
che bolla la libertà delle persone, uomini e donne allo stesso modo, come una
turpitudine, un’offesa, un peccato, un oltraggio.
Rubricare invece le violenze di Colonia
come una delle tante, tristissime manifestazioni di aggressione contro le donne
che infestano la vita delle città europee significa smarrirne la specificità,
la novità, il senso stesso della sua dinamica. Significa non capire cosa ha
mosso gli aggressori, il fatto che fossero centinaia e centinaia in un abuso di
massa del corpo e della libertà delle donne come non si era mai visto. Loro,
gli aggressori, possono dire che le donne colpite e umiliate «se la sono
cercata» semplicemente perché hanno scelto un modo di vivere inammissibile e
peccaminoso. A noi il compito di difenderlo, questo modo di vivere, e di
considerare inviolabili le donne, e la loro libertà.
Corriere della sera 27° Ora
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