sabato 3 novembre 2018

Riflessioni sulla Prima Guerra Mondiale


Noi europei abbiamo la fortuna di godere del più lungo periodo di pace che si ricordi e questo ci ha permesso di maturare sentimenti che portano al rifiuto della guerra e di tutte le violenze legate alla guerra. In questi decenni le guerre, le stragi, i lutti, i dolori, la violenza ci sono stati ovunque nel mondo, ma non nella nostra oasi, frutto della volontà di pace di chi aveva vissuto e sofferto la prima e la seconda guerra mondiale (1914-1918; 1939-1945).
Forse è per questo che nella ormai sterminata produzione di filmati, articoli di giornale, libri, convegni, trasmissioni televisive che hanno segnato gli anni dal 2014 ad oggi, l’accento degli “esperti” si è posato quasi soltanto sulla sofferenza della guerra, sulla opposizione alla guerra, sui lutti di guerra, sui morti, sui feriti, sui prigionieri, sulla ‘inutile strage’, dando il senso di una carneficina di cui non si capisce il perché.
Fiumi di carta stampata e di parole su Caporetto come se la guerra avesse avuto il suo unico focus intorno a questo doloroso e tragico momento vissuto dal paese nel tardo autunno del 1917.
Poche parole sulla guerra negli altri paesi e quasi nessuna analisi geopolitica che desse un senso di più ampio respiro agli avvenimenti di quegli anni.
Lo hanno fatto gli storici di altri paesi, ma non i nostri che sembrano ignorare i risultati della più recente storiografia.
La I° Guerra Mondiale fu una guerra costituente nella quale venne riscritta la gerarchia del potere mondiale.
Nella storiografia internazionale (ma non ancora in Italia) stanno emergendo due grandi tendenze che incardinano lo studio del 1914-18 nella “longue durée” e nella “global history”, distruggendo radicalmente l’interpretazione eurocentrica e diplomatica della grande guerra come un “puro passato senza presente”; quella interpretazione alla quale siamo abituati perché straripa dai media e dall’editoria (e che purtroppo condanna all’irrilevanza gran parte delle rievocazioni e degli studi condotti nel centenario).
La prima tendenza è la reinterpretazione della grande guerra come fase epocale “epifanica” di una conflittualità mondiale preesistente e proseguita dopo il 1918 e ancora in atto. “Epifanica” perché il mondo ne prende coscienza: “epocale”, perché i suoi risultati permangono oggi; risultati che furono in sostanza a) l’entrata degli Stati Uniti in Europa, b) l’uscita della Russia e c) la dissoluzione dei grandi imperi multietnici (russo, ottomano, asburgico e – in nuce – britannico). La permanenza consiste in una destabilizzazione strutturale degli stati successori nei due tratti occidentale (Intermarium Baltico-Nero e Balcani) e centrale (Middle East and North Africa) del limes eurasiatico (teatro di una collisione tra gli Imperi del Mare e l’Eurasia iniziata nel 1763 e ancora in atto). Nasce da qui, ad esempio, la storiografia sull’”Autre grande guerre”, che studia la guerra sul fronte orientale, in Medio ed Estremo Oriente, in Africa e in Atlantico, teatri più decisivi di quelli franco-belga, italiano e balcanico.
L’altra tendenza è la reinterpretazione della guerra russo-giapponese (1904-1905) come «World War Zero»  e la tesi della «determinante asiatica» della grande guerra.
La guerra è un potente acceleratore di scoperte e modernizzazione.
La grande industria italiana è nata nella Grande Guerra. La medicina fece grandi passi in avanti durante la 1°GM; si pensi solo alla chirurgia e alla psichiatria.
L’economia USA è uscita dalla recessione del 1929 solo con la 2° Guerra mondiale.

In Italia ci furono 5 milioni di uomini mobilitati e 1 milione sempre al fronte. I morti furono 650.000. Tanti ma molto meno che in altri paesi.
In Germania ci furono 700.000 morti solo per la fame conseguenza del blocco navale che impediva i rifornimenti alimentari, oltre ai 2 milioni circa di militari morti in guerra. Su tutti i fronti nella I° GM ci furono circa 15 milioni di morti.
Le cifre sono approssimative ma dicono comunque che milioni di persone persero la vita in quei quattro anni.
Molti più morti della guerra fece però la spagnola, che esplose in quegli stessi anni in tutto il mondo. La devastante epidemia infuriò da marzo 1918 al giugno 1920, contagiò circa 500 milioni di persone (il 30% della popolazione mondiale che allora era 1 miliardo e 600 milioni) e ne uccise tra i 50 e 100 milioni. Quando nel 1919, dopo una breve attenuazione e un ultimo colpo di coda l'epidemia cessò definitivamente, si contarono in tutto il mondo molti più morti di quanti ne avesse fatto la guerra.
Ancora oggi siamo abituati a guardare solo alle vicende di casa nostra ignorando che siamo delle piccole pedine di un gioco globale. Nella prima guerra mondiale abbiamo fatto la scelta giusta e abbiamo vinto. Nella seconda guerra mondiale abbiamo fatto la scelta sbagliata e abbiamo perso. Il dominio mondiale Usa durante la guerra fredda e lo stretto legame tra Europa e Stati Uniti ci ha permesso di non dover scegliere e ha fatto decollare l’economia italiana.
Oggi gli Usa sono in rotta di collisione con l’Unione europea. Trump e Putin hanno l’identico obiettivo di destabilizzare l’Europa. L’attuale governo italiano si appoggia a Mosca e a Washington mentre è critico con l’UE. Siamo proprio sicuri di aver fatto la scelta giusta? 



mercoledì 3 ottobre 2018

"Una rivoluzione positiva" alla Fondazione Nilde Iotti, Roma


Galleria fotografica della presentazione del libro
"Una rivoluzione positiva, Conversazione con Elena Marinucci"
presso la Fondazione Nilde Iotti

Sala Nilde Iotti, Piazza del Parlamento, Roma


Da sinistra: Fiorenza Taricone, Livia Turco, Elena Marinucci, Anna Falcone, Anna Maria Isastia





domenica 1 luglio 2018

Democrazia e migrazioni



Tutti i commenti di questi ultimi giorni portano ad una conclusione.
In democrazia non si può fare quello che sarebbe necessario, ma quello che vuole la pancia del paese, perché è il paese, cioè la gente, che poi va a votare e non vota quello che è giusto, ma quello che ritiene sia il suo vantaggio.
Il resto sono chiacchiere.
L’evanescente e salomonica conclusione del Consiglio europeo sull’immigrazione è il risultato degli umori degli elettorati che nessun governo europeo può ignorare.
I leader europei sono emersi il 29 giugno dal loro vertice con un documenti in 12 punti sulla migrazione “che è parso disintegrarsi al contatto con l’aria al di fuori delle stanze di Bruxelles. Ciò che non è scritto in quel testo resta forse l’unico punto sul quale tutti sono veramente d’accordo: nessun governo democratico può resistere a lungo, quando si diffonde nell’opinione pubblica la percezione di aver perso il controllo delle frontiere. E nessun politico può assistere senza reagire all’erosione, fra gli elettori, di quel minimo senso di sicurezza che viene dal sapere che i confini possono essere gestiti ordinatamente” (F. Fubini, Corriere della sera 30 giugno 2018).
Questo spiega le intemperanze verbali di Emmanuel Macron come di Matteo Salvini, ma anche l’inedita debolezza di Angela Merkel. A fronte di 300.000 africani pronti ad attraversare il Mediterraneo, ma sembra che in Libia si calcola che vivano un milione di persone intrappolate nel viaggio dall’Africa all’Europa, i governanti europei non sono in grado di elaborare programmi di lungo periodo, ma solo risultati apparenti che tranquillizzino gli elettori del proprio paese.
In Italia poi nessun governo ha voluto o saputo gestire i tanti migranti africani arrivati nel corso degli anni. Parliamo di “emergenza” dalla metà degli anni Ottanta del Novecento. Eppure in quaranta anni ci sarebbe stato tutto il tempo di varare un programma per inserire almeno una parte di questi migranti, insegnando loro la lingua italiana e facilitando occupazioni temporanee per i richiedenti asilo. Oggi invece masse di giovani bighellonano nelle nostre città chiedendo l’elemosina ed aumentando l’irritazione dei cittadini italiani. Il successo della Lega lo dimostra in modo evidente.
Abbiamo insegnato ai migranti una sola cosa: l’assistenzialismo.
Gli italiani poveri e ignoranti che sono emigrati a milioni, hanno svolto i lavori più umili e faticosi in Australia e in Canada, negli Usa e in sud America. Cosa fanno tanti giovani africani chiusi per mesi e mesi nei Cie?
Non abbiamo mai voluto fare una politica seria dell’immigrazione e questi sono i risultati.

sabato 14 aprile 2018

Corso di Alta Formazione "Donne, Diritti, Culture" Università la Sapienza, 12 Aprile 2018




Il video con il mio intervento al corso di Alta Formazione "Donne, Diritti, Culture" all'Università La Sapienza di Roma

Con Cinzia Dato, Elisabetta Strickland, Dora Iacobelli, Rosanna Oliva




sabato 13 gennaio 2018

Una rivoluzione positiva. Incontro in Senato - 25 gennaio 2018





Giovedì 25 gennaio alle ore 12
nella Sala Nassirya del Senato della Repubblica 
verrà presentato il volume
di Anna Maria Isastia

Una rivoluzione positiva
Conversazioni con Elena Marinucci




Dopo l’introduzione di Rosa Maria Di Giorgi, vicepresidente del Senato, rifletteranno sui contenuti del libro Costanza Pera e Valdo Spini, coordinati da Annamaria Barbato Ricci. Con loro discuteranno la protagonista del libro Elena Marinucci e l'autrice Anna Maria Isastia.

Ancora ai giorni nostri ferve il dibattito sulla disparità di trattamento fra uomo e donna sul posto di lavoro malgrado la Costituzione italiana, in vigore da 70 anni, preveda l'uguaglianza di retribuzioni a parità di mansioni. Così pure la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, nata - dopo un iter accidentato - il 12 giugno 1984.
Pugnace paladina della parità fra i generi e ispiratrice della stessa Commissione è stata la senatrice Elena Marinucci, protagonista di una stagione politica fondamentale della storia della Repubblica italiana.

La donna politica, depositaria di ricordi inediti che risalgono ai primi anni ’70 e che consentono di ricostruire trent’anni di cammino delle donne verso la definitiva (o quasi) archiviazione del cosiddetto ‘soffitto di cristallo’, si racconta in una serie di vivaci narrazioni alla storica Anna Maria Isastia. Il libro Una rivoluzione positiva. Conversazioni con Elena Marinucci (Edizioni di Storia e Letteratura) si presenta dunque come il vero compendio di un cammino pieno di spine e di gioie che ha portato a “una rivoluzione che si è fatta per strada, grazie all’impegno di donne come Marinucci fra i banchi della politica”.