domenica 3 novembre 2019

Ho visto nascere la rivoluzione in Libano


Sono stata in Libano ad ottobre 2019 e ho assistito il 17 ottobre all'inizio della rivolta popolare contro la classe dirigente corrotta: i giovani e poi tutto il paese contro il potere costituito.

Il Libano è grande quanto una regione italiana di piccole dimensioni. Ha 4 milioni di abitanti metà dei quali gravitano sulla capitale Beirut. E’ un paese militarizzato. Militari e poliziotti sono presenti ovunque. All'ingresso dell’hotel dove alloggiavamo c’era il metal detector. Le auto che volevano parcheggiare nel garage dell’albergo erano accuratamente controllate anche sotto al pianale con lo specchio. Ci sono posti di blocco lungo le vie che collegano una città all'altra. Posti di blocco ad ogni punto di passaggio da una regione all'altra. La regione del nord, con capitale Tripoli, è in mano agli Hezbollah che si riconoscono dalla divisa diversa da quella di esercito e polizia.

Il Libano è diventato un paese povero. Le sole coltivazioni sono quelle delle banane che crescono da sole e non hanno bisogno di cure e degli ulivi. La guerra civile degli anni Settanta ha economicamente distrutto il paese cui è rimasto solo il turismo e la cucina, giustamente famosa.

Doveva essere una bella città Beirut fino al 1975 quando fu in larga parte distrutta dalla guerra civile. Camminando per la città, nascosti dagli enormi grattacieli di alberghi, banche, abitazioni, si scoprono deliziosi edifici di due, tre piani in stato di abbandono. Bisogna però camminare a piedi e da soli per non essere distratti da altro.



Il traffico è folle in tutto il Libano. Macchine e moto sono guidate in modo inconcepibile, senza regole, contromano, attraversando senza rallentare, infilandosi ovunque.
Dall'alto del pullman la situazione appare caotica e pericolosa, ma il pullman stesso può prendere una corsia a senso unico al contrario, può bloccare il traffico per fare inversione di marcia su una strada a scorrimento veloce, ma anche in un viottolo. Veder guidare è uno spettacolo. I motorini si infilano sotto il pullman in manovra, le macchine si comportano come fossero pedoni. Non esiste l’assicurazione obbligatoria. Dunque ci si affida alla sorte.

Il malessere covava nel paese da tempo. Ci hanno raccontato subito della grande corruzione che regna ovunque, della spartizione del potere tra gruppi religiosi che sono soprattutto gruppi di potere che si reggono sul clientelismo da una parte e su ricche tangenti dall'altro. I più importanti sono tre, ma in totale si arriva a ben 17 gruppi affaristico-politico-religiosi.

Appena arrivati abbiamo assistito ad una serie di incendi scoppiati contemporaneamente in luoghi diversi del paese e domati a fatica. Conseguenza immediata: continue interruzioni della corrente elettrica. Sono rimasta due volte bloccata in ascensore per pochi minuti.

La notizia della nuova tassa di 20 centesimi di dollaro messa dal governo sulla prima chat quotidiana mandata su WhatsApp, tutti i giorni da tutti, si è diffusa in un lampo. Anche i turisti ne sono venuti immediatamente a conoscenza. I libanesi sono impoveriti dalla crisi economica che va avanti da mesi e pagano già tariffe tra le più alte al mondo per i servizi cellulari. La notte del 17 ottobre nella capitale è scoppiata la rivolta e i giovani sono scesi in piazza. A Beirut sono tutti giovani o almeno io ho visto solo giovani: nei locali, per le strade, in piazza, ovunque.
Il provvedimento è stato subito ritirato ma i rivoltosi hanno bloccato le strade della città dando fuoco ai cassonetti e ai pneumatici ammucchiati ovunque.



Il 18 ottobre mattina la rivolta era in pieno svolgimento, cortei di motorini schiamazzanti giravano ovunque e i turisti sono stati vivamente consigliati di non muoversi. C’è chi si è spinto fino alla piazza dei Martiri simpatizzando con i ragazzi e facendo selfie, chi come me si è limitato a perlustrare con calma la zona intorno all’albergo e ha comprato spezie nei negozi del quartiere.
Dopo pranzo però abbiamo provato a raggiungere il Museo nazionale. Ci sembrava una missione possibile e poco rischiosa. Non è stato così!
L’agenzia ha mandato due anonimi pulmini bianchi da 8 /10 posti ciascuno con due autisti kamikaze. Io ho preso posto davanti, accanto all’autista di una delle due macchine, mai immaginando quello che avrei visto.
L’autista è partito sgommando e guidando velocissimo, facendo il pelo a pedoni e a chiunque trovasse sul suo percorso, percorrendo strade strettissime ad andatura impossibile, rischiando scontri continui. Ha preso le strade contromano facendo continue gimkane tra i blocchi stradali, ma arrivati finalmente su un largo viale a doppia corsia ci siamo resi conto che era impossibile proseguire. Davanti  a noi si vedevano chiaramente ben tre sbarramenti successivi creati con cassonetti, dissuasori e gomme d’auto. Le barricate erano presidiate da gruppi di giovani che non sembravano molto disponibili a condividere i nostri interessi turistici.
Dopo un breve conciliabolo abbiamo convenuto che si poteva solo cercare di tornare indietro. L’autista era sempre più preoccupato per noi, ma anche per la macchina che guidava. Le possibilità di circolare per Beirut diminuivano di minuto in minuto. Gruppi di ragazzi davano vita a sempre nuovi blocchi e apparivano sempre più determinati a non far passare nessuno. L’autista era sempre più preoccupato, aggrediva la strada, era prepotente, non lasciava passare né auto né pedoni. Cambiava continuamente percorso appena scorgeva blocchi in lontananza. Abbiamo fatto giri incredibili, avanti e indietro nel tentativo di trovare un varco da attraversare. Abbiamo parlamentato con gruppi di giovani che sembravano disponibili a farci passare salvo scoprire dopo poche centinaia di metri che la strada era bloccata da cassonetti in fiamme. Ci avevano preso in giro. Ho saputo poi che alcuni gruppi di turisti hanno pagato per poter rientrare negli alberghi.
Ad un certo punto la nostra guida è scesa dal pulmino e ha spostato a calci un paio di cassonetti che avevano finito di bruciare, per creare un varco per le due vetture. I responsabili del nostro gruppetto apparivano sempre più preoccupati. Hanno avuto timore che i pulmini potessero venire attaccati?  Sicuramente hanno guidato a rotta di collo. Avvistato l’ingresso dell’albergo ci siamo tutti rilassati.

Il giorno dopo la situazione sembrava tranquilla. Siamo partiti in direzione sud verso i monti Chouf per visitare il villaggio di Deir El Kamar, residenza dei governatori ottomani  del Libano nel XVI e XVII secolo. Un blocco stradale ci ha costretti ad una deviazione che sarebbe stata indolore se ci fosse stato un minimo di ordine, ma così non era. La strada era a doppio senso di circolazione ma le macchine occupavano tutta la larghezza della strada sia in un senso che in un altro con il risultato che stavano tutti fermi. Con l’aiuto di alcuni volontari si è infine creato un varco dove le macchine sono riuscite a passare guadagnando infine di nuovo la strada principale.

Era previsto che il nostro pranzo si svolgesse al Mir Amin Palace a Beit Eddine in una dimora del XIX secolo. Non era invece previsto che potessimo trovarci coinvolti in un ricco matrimonio druso con la bellissima sposa, vestita come nelle fiabe e molto scollata mentre la madre e la sorella dello sposo avevano un lungo e accollato abito nero e la testa nascosta da una sciarpa bianca che copriva, o meglio costringeva la bocca nascondendola completamente. 


Gli sposi


Madre e sorella dello sposo

Gli invitati

Il contrasto era stridente ma apparivano tutti a loro completo agio. Foto, filmati e drone che seguiva sposi ed invitati. La cosa più divertente è che ad un certo punto hanno cominciato a fotografare noi che scattavamo foto a loro. Gli sposi sono entrati nella sala del matrimonio ballando, accompagnati da suonatori tradizionali che facevano un suono allegro e martellante e con loro ballavano gli ospiti mentre i camerieri servivano bibite e antipasti. Il tutto prima dello scambio nuziale che non abbiamo visto per motivi di tempo. Ci avevano invitato a restare!
Dopo aver visitato il Castello di Beit Eddine, dimora estiva del presidente della repubblica, abbiamo fatto ritorno a Beirut, ancora una volta facendo la gimkana tra i blocchi stradali.

La domenica mattina siamo finalmente andati al Museo nazionale indubbiamente molto interessante, ma le cose più interessanti si svolgevano in strada. Ragazzi issati sui camion che suonavano a volume altissimo canti rivoluzionari, ballavano e simpatizzavano con chiunque si avvicinasse. Frotte di motorini che attraversavano la città, bandiere ovunque, tanta allegria e una sola richiesta: tutti a casa, se ne devono andare tutti. Stava montando una nuova gigantesca onda che nel pomeriggio ha definitivamente bloccato la città di Beirut impedendo qualsiasi spostamento. Posso dire che la città si è chiusa dietro di noi che abbiamo raggiunto l’aeroporto solo grazie all'esercito che teneva aperta la strada per arrivarci.


Strada verso l'aeroporto 

Tornata a Roma mi ha stupito il silenzio di giornali e telegiornali.

Le nuove generazioni se la sono presa con tutti: i sunniti con il capo del governo Saad Hariri, gli sciiti con gli Hezbollah e il loro capo Hassan Nasrallah, i cristiani con il ministro degli esteri Gibran Bassil suocero del presidente Michel Aoun. Non si salva nessuno, tutti contro quelli che hanno il potere, che considerano corrotti, che controllano tutto e tutti.
Per la prima volta nella storia del paese cristiani, musulmani, sciiti, drusi, armeni, alauiti hanno fatto fronte comune.

La rivolta popolare spontanea si è estesa a tutte le città libanesi da Tiro a Tripoli, da Nabatiyek a Baalbek, da Beirut a Sidone. L’unica bandiera che sventola è quella libanese, non ci sono bandiere di parte.
Il capo del governo ha provato a mediare, ha promesso riforme, ha tagliato del 50% gli stipendi dei parlamentari; Nasrallah ha minacciato di scendere in piazza.
I libanesi chiedono invece un paese laico e una nuova classe dirigente.
Alla fine di ottobre c’è stato un attacco degli Hezbollah all'accampamento di piazza dei Martiri. Hanno fatto danni ma hanno dovuto battere in ritirata. Il 29 ottobre Hariri ha ceduto alla piazza e ha annunciato le dimissioni, ma il presidente Aoun gli ha chiesto di restare in carica.

Le banche, le scuole e l’università sono chiuse dal 17 ottobre. Le banche riapriranno il 1 novembre mentre le scuole rimarranno ancora chiuse.
Nel frattempo è stato creato un sito per ritrovare quel ragazzo o quella ragazza incrociati un momento e poi perduti. L’account Instagram @thawracrushes (le cotte della rivoluzione) è seguito da settemila persone. Si manda la foto della persona sconosciuta e si chiede aiuto per ritrovarla. Potrebbe essere molto pericoloso perché i rivoltosi si stanno schedando da soli, ma i giovani a questo non pensano.

La tensione rischia di salire nei prossimi giorni perché i rivoltosi vogliono mandare tutti a casa e andare alle urne mentre chi detiene il potere non intende affatto lasciarlo.

Un libanese con cui sono in contatto si dice sicuro che stanno andando nella direzione giusta. Il capo del governo si è dimesso e devono costringere alle dimissioni anche il capo dello Stato per andare alle elezioni anticipate. Ero partita per il Libano per non pensare e mi sono trovata testimone di un momento storico. La vita è veramente imprevedibile.
                                                                      
(testo e fotografie di Anna Maria Isastia - ottobre 2019)

martedì 16 luglio 2019

La legge 17 luglio 1919 n. 1176 che ha cambiato la vita delle donne italiane


Il 17 luglio di cento anni fa, nel 1919, il Parlamento italiano votava una legge di fondamentale importanza per tutte le donne cui veniva finalmente riconosciuta piena capacità giuridica. Il Gabinetto di unità nazionale aveva cominciato ad affrontare la questione in piena guerra, travolto dalla evidenza dei fatti. Le donne dimostravano, contro ogni residuo stereotipo, che erano perfettamente in grado di sostituire gli uomini al fronte in tutti i mestieri e le attività. Migliaia di donne erano uscite dalle case per entrare nelle fabbriche e nei laboratori, negli uffici e negli ospedali. L’autorizzazione maritale che aveva fino allora impedito ogni possibile emancipazione femminile era stata di fatto sospesa e poi sarà abolita, ma si doveva fare di più.
Nella nuova legge approvata a larghissima maggioranza “Disposizioni sulla capacità giuridica della donna”, all’art. 7 si leggeva:
“le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto,[…]quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengano alla difesa militare dello Stato”. La legge era stata redatta dai più eminenti giuristi del tempo: Mortara, Bensa, Scialoja, Filomusi-Guelfi, Del Giudice.
Molte laureate che avevano lavorato negli studi di fratelli, mariti, padri, poterono finalmente diventare avvocate. Le libere professioni si aprivano alle donne. La stessa cosa sarebbe dovuta accadere per il pubblico impiego, ma il regolamento emanato il 4 gennaio 1920, le escluse da tutte le carriere direttive dello Stato.
Si faceva distinzione tra “piena eguaglianza di diritto” e “inattitudine concreta” della donna a tutta una serie di impieghi. In pratica la burocrazia costituita da soli maschi alzava le barricate contro la remota possibilità di dover un giorno trovarsi una donna dirigente.
Resta la fondamentale importanza di una legge che alla fine della prima guerra mondiale ‘emancipò’ finalmente le donne italiane.