venerdì 1 dicembre 2017

lunedì 27 novembre 2017

#quellavoltache

Ho appena finito di leggere i racconti scritti da Leda Muccini all’inizio degli anni Sessanta.
Ero rimasta infastidita dall’insistenza sulla squallida fisicità dei rapporti delle giovani donne protagoniste dei suoi racconti, con uomini diversi per età e condizione sociale, ma legati da un unico desiderio: mettere le mani addosso alla ragazza del momento e appena possibile spogliarla e possederla. Senza sentimenti, senza amore, senza delicatezza, senza un dopo.
Donne oggetto; donne usate e che si lasciano usare, passivamente acquiescenti, come se non ci fossero altre possibilità. Giovani donne che si fanno baciare, palpeggiare e fanno sesso con uomini che non amano e non desiderano, senza goderne e senza ricavare alcun vantaggio. Le donne raccontate sono belle, giovani, vitali mentre gli uomini appaiono grigi, meschini, viscidi, ipocriti.
Chiuso il libro, apro il giornale e ritrovo le stesse situazioni oggi. Lo scandalo delle molestie sessuali al parlamento inglese che fa tremare il governo di Theresa May.
Lo scandalo del produttore americano Harvey Weinstein che ha usato il suo potere in modo ignobile usando e abusando decine e decine di giovani attrici.
Non passa giorno senza che i giornali e le televisioni raccontino di dichiarazioni di abusi e ricatti sessuali avvenuti nel corso del tempo. Sono per lo più donne famose che denunciano fatti di un passato più o meno lontano, ma non dimenticato.
Tutti a demonizzare e condannare situazioni che si ripetono uguali, da sempre. Tutti sanno e hanno sempre saputo. Poi ogni tanto la pentola viene scoperchiata e allora tutti a dichiarare il loro disgusto e a prendere le distanze da situazioni che si ripetono sempre uguali.
Molti maschi sono infastiditi da questa martellante attenzione rivolta, forse per la prima volta, contro di loro. Non capiscono, parlano di strumentalizzazioni, credono che  attrici e cantanti, ma anche esponenti della politica, vogliano solo farsi pubblicità, cercano di ridimensionare. Colpisce che i giornalisti, forse per la prima volta, ripetano che il problema è loro, cioè dei maschi. Incredibile!

Perché allora mi ha dato tanto fastidio leggere i racconti di Leda Muccini? Forse perché è stata veramente brava a descrivere la ripetitività viscida e oscena dell’abuso quotidiano del maschio sulla femmina, ma anche l’acquiescenza passiva di troppe giovani donne a situazioni disgustose che non si ha il coraggio, la forza, la capacità di contrastare.
Mi ha colpito leggere le ultime battute dell’intervista di Geneviève Fraisse, femminista, politica, scrittrice, a Stefano Montefiori.
 «Credo che non si tornerà indietro. Molte donne oggi raccontano delle molestie e aggressioni che hanno subito negli anni, e la vergogna potrebbe davvero cambiare di campo, come hanno sempre chiesto le femministe. Quando avevo 10 anni, un pomeriggio mentre andavo alla posta, un uomo si è avvicinato fingendo di chiedermi la strada e invece si è masturbato davanti a me. Sono tornata a casa e che cosa ho fatto? Non ho detto niente. Eppure non avevo alcuna colpa, vivevo in una famiglia di intellettuali che mi avrebbe ascoltata. Ma non ero pronta e sentivo che il rapporto di forza non era a mio favore. La colpa e la vergogna erano su di me, non su quell’uomo. Mio padre era femminista, eppure avevo interiorizzato di trovarmi dalla parte sbagliata. Le cose stanno cambiando, ed è un bene».
Appartengo alla generazione di Geneviève Fraisse e capisco perfettamente le sue parole.
Se torno indietro nel tempo anche io, come tutte le donne, ho ricordi sgradevoli. Esibizionisti incontrati negli androni dei portoni ancora ragazzina. Ne ricordo uno che mi costrinse a fare di corsa cinque rampe di scale larghe e lunghe per raggiungere casa di nonna, con il cuore in gola.
L’incubo della mano morta in autobus, per non parlare di quelli che si incollavano dietro di te. Mi difendevo spostandomi, cercando in ogni modo di allontanare l’importuno, ma quanto disagio e quanta vergogna.
E poi le proposte oscene di coetanei poco più che ventenni che si sentivano autorizzati a parlare alle ragazze in modo indecente, ma  allora avevo imparato a difendermi e a contrattaccare. Che fastidio però e che rabbia!
Le difficoltà per una donna che abbia prospettive e capacità professionali sono legate anche agli appetiti sessuali degli uomini. Io consideravo compagni di strada gli uomini che conoscevo e che ritenevo propositivi per me. Avviavo un rapporto di lavoro ‘neutro’ e per me erano ‘neutri’ appuntamenti e pranzi di lavoro.
Poi però ‘percepivi’ che ad un certo punto la situazione diventava ‘strana’ e allora avevi due strade davanti. Raffreddare la collaborazione o ….
Io ho sempre scelto la prima opzione e ho ricominciato ogni volta a tessere rapporti destinati a chiudersi all’improvviso. Per un uomo è diverso e con il passare degli anni la rete delle sue relazioni si allarga sempre di più con evidenti vantaggi professionali. Le donne spesso sono costrette invece a interrompere rapporti ben avviati e le rotture hanno sempre effetti negativi. Nessun uomo accetta di essere allontanato e presenta il conto, danneggiando la donna sul lavoro, sparlando di lei, isolandola.
Mi è capitato di sentirmi consigliare di essere ‘carina’ con un potente, da un altro uomo che, non potendomi avere, mi ‘cedeva’ volentieri al capo!
Mi sono sentita accusare di cose improbabili da colleghi che dovevano farmi pagare le mie capacità organizzative che avevano risolto i ‘loro’ problemi. Questo naturalmente dopo che avevo lavorato per loro con successo.
Le donne venivano massacrate facilmente con una qualunque accusa legata a loro presunte ‘leggerezze’.
La mia vita di lavoro è stata uno slalom da campionessa tra proposte da respingere, attacchi da neutralizzare, commenti da rintuzzare.
Alla fine degli anni Settanta del Novecento un collega da un giorno all’altro divenne sgradevolmente aggressivo. Senza neanche fingere di farmi la corte o di essere preso da me, da un giorno all’altro aveva deciso che dovevo fare sesso con lui. Alla mia reazione secca e infastidita reagì con una spiegazione che non ho mai più dimenticato. A suo dire aveva fatto una sua indagine privata nell’Istituto universitario dove lavoravo. Aveva appurato che non ero l’amante di nessuno e che nessun collega aveva intenzione di farsi avanti e dunque io ero diventata di sua proprietà come una res nullius. La mia reazione fu tanto dura e feroce che non ci siamo mai più rivolti la parola, pur lavorando a poche stanze di distanza.
Quante amiche hanno cambiato lavoro o rinunciato a percorrere certe strade perché tra loro e le loro ambizioni si è messo il potente di turno che esigeva il pedaggio dovuto e preteso.
A Westminster è stata avviata una inchiesta su vicende note a tutti. Alla Bbc si è creato un gruppo segreto di giornaliste e presentatrici che si scambiano informazioni e denunciano le molestie. Il parlamento di Bruxelles non è esente da scandali di tipo sessuale e parecchie politiche hanno denunciato di essere state vittime di abusi e molestie.

Spero abbia ragione Geneviève Fraisse che sostiene che il caso Weinstein segna una nuova epoca. «È l’ora della rivolta»

domenica 24 settembre 2017

Una rivoluzione positiva - Conversazioni con Elena Marinucci

Comunicato stampa dell'editore per l'uscita di:

Anna Maria Isastia
Una rivoluzione positiva
Conversazioni con Elena Marinucci

Edizioni di Storia e Letteratura, 2017




Elena Marinucci, ex senatrice socialista e parlamentare europea, impegnata nella lotta per i diritti delle donne e principale ispiratrice della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, si racconta ad Anna Maria Isastia.
Più che una biografia, ne nasce un ritratto italiano dagli anni Settanta agli ultimi giorni del Novecento al cui centro sta la rivoluzione femminista ripercorsa dal punto di vista particolare di una donna che ha operato nelle istituzioni e che oggi non intende omettere il racconto degli ostacoli, delle lungaggini, delle avversità incontrate lungo il tragitto.
I gruppi di autocoscienza, la discussione sull’interruzione volontaria di gravidanza, la battaglia per la presenza delle donne nelle direzioni di partito, i concetti di “pari opportunità” e di “azione positiva” sono il centro di una rivoluzione che si è fatta strada, grazie all’impegno di donne come Marinucci, tra i banchi della politica. E quando il femminismo entra nelle istituzioni molti degli obiettivi per cui hanno combattuto le donne italiane del secolo scorso trovano la via della realizzazione.

Anna Maria Isastia è docente di Storia contemporanea all’Università Sapienza di Roma. Sono noti i suoi studi sul Risorgimento italiano e la storia della massoneria. Da anni si occupa di storia delle donne e di biografie femminili. È stata presidente nazionale del Soroptimist International d’Italia ed è componente del direttivo della Rete per la Parità (http://www.reteperlaparita.it/) che ha contribuito a fondare nel 2010.

Anna Maria Istastia, Una rivoluzione positiva. Conversazioni con Elena Marinucci
collana Letture di Pensiero e d’Arte
pp. 180; prezzo 16,00

Ufficio stampa Edizioni di Storia e Letteratura
Via delle Fornaci, 38 00165 Roma
tel. 0639670307 - editoriale@storiaeletteratura.it 




mercoledì 19 luglio 2017

Bâtis ta carrière avec nous

Testo dell'intervento di Anna Maria Isastia al 21° Congresso Soroptimist Europa a Firenze

Sessione tematica: Spaccare il soffitto di cristallo 

Progetti pilota di successo del SIE 
Come costruire un programma innovativo di leadership e di mentoring di successo 

Moderatrice: Elena Savu, Università Tecnica di Bucarest, SI Romania 

Anna Maria Isastia - Costruisci la tua carriera con noi Storica, SI Italia 
Ilke Erol - L’esperienza della Soroptimist Leadership Academy Struga&Turchia Legale, SI Turchia
Corinna Salander, Università di Stoccarda, SI Germania e Barbara Muggenthaler, Auditore Pubblico, SI Germania
Il programma di mentoring tedesco Catherine Westling - La Soroptimist Nordic Leadership Academy Attrice, SI Svezia

Clicca qua per la versione in italiano





Autrefois les nouvelles générations étaient accompagnées dans leurs processus d’épanouissement par une personne experte.
Les jeunes apprenaient à devenir adultes en écoutant leurs conseils et en les imitant.
Les enfants des nobles et des riches avaient un précepteur dont la fonction était celle de les éduquer et de les orienter dans leur vie.
La modernité semblait avoir effacé ces vestiges d’un monde révolu. Mais il n’en est rien. Il ne suffit pas d’être des accros du Smartphone ou des programmes informatiques, ou avoir une maîtrise avec mention pour être à même de s’orienter dans le monde du travail surtout lorsqu’on est une femme.
Voilà qui refait surface une figure qu’on aurait dit dissoute dans le brouillard.
L’ancienne image du précepteur habillé en noir s’est transformée en un mentor comme celui auquel Ulysse confie l’éducation de son fils lorsqu’il part pour la guerre de Troie. Je fais référence à l’Odyssée, le poème d’Homère le grand poète grec. C’est lui qui donne des contenus très modernes au mot mentorat ou mentoring en anglais.
Mentor prend par la main le jeune Télémaque et le suit avec sagesse pendant dix ans jusqu’au retour de son père.
Deux mille ans après, en mille six-cent quatre-vingt-dix-neuf (1699) Fénelon (théologien et pédagogue français) va se rappeler de Mentor et va l’utiliser comme personnage pour fournir une éducation morale et politique au duc de Bourgogne tout en critiquant le Roi Soleil Louis XIV.
C’est très intéressant pour nous de rappeler aussi le fait que Mentor était parfois un avatar de la déesse Minerve, symbole de la sagesse, qui grâce à lui inspire ses protégés.

Pour le Soroptimist italien c’est très important de guider les jeunes filles prometteuses en leur fournissant ce quelque chose en plus qui provient de l’expérience de ces femmes qui ont atteint de bonnes positions de carrière.
C’est ce que fait le Club de Rome depuis 1970 grâce à la Fondation Soroptimist Club de Rome qui sélectionne des jeunes femmes, naguère diplômée, aujourd’hui doctorantes, et leur accorde une bourse d’étude.
Ces femmes, qui au fil du temps sont devenues des dizaines puis des centaines, ont été suivies et épaulées jusqu’à l’achèvement de leur parcours d’étude et au début de leur travail.
Tout au début, il s’agissait de jeunes femmes qui devaient être conseillées pour leur inscription à l’université. On les amenait à s’orienter vers les études scientifiques et elles pouvaient recevoir aussi un prix pour avoir opter pour une des filières STEM/STIM[1] (science, technologie, ingénierie et mathématiques). Les associées les plus expertes les guidaient pendant plusieurs années avec une certaine affection en mettant leurs expériences et leurs compétences à la disposition de ces jeunes femmes.

Le Soroptimist International d’Italie a un projet national depuis  1985. L’ONU l’avait proclamé l’année de la jeunesse. À cette époque, la présidente nationale Angelica Bortolotto Alverà établit une convention avec l’Université Bocconi de Milan dont le but était  d’envoyer des jeunes filles à peine diplômés suivre un cycle des séminaires gratuitement pour les préparés aux nouvelles possibilités du monde du travail.
Au fil du temps la collaboration entre Soroptimist et Bocconi, qui dure depuis 32 ans, s’est transformée et renouvelée. Depuis plusieurs années, nous offrons au jeunes femmes qui rentrent dans le monde du travail un atout indispensable pour atteindre des positions de leader.
II
Les stagiaires sont choisies avec attention parmi celles qui ont un CV impeccable ainsi que des potentialités et des objectifs très importants.
Les cours qui sont offerts au jeunes femmes à peine sorties de l’université et qui doivent construire leur carrière ont pour objectif de faire émerger les problèmes et les points critiques, de les rendre conscientes des stéréotypes et des préjugées cautionnés parfois par les femmes elles-mêmes, de leur enseigner à affronter ses propres limites et à dépasser la timidité et la faiblesse afin de créer le soubassement concret pour s’épanouir.
Toutes les boursières ont des objectifs ambitieux et elles ne le cachent pas. Elles sont heureuses de se sentir soutenues dans leurs désirs. C’est un aspect très important qu’il ne faut pas sous-estimer. C’est normal qu’elles pensent : « si quelqu’un emploie son temps et son argent pour nous, cela veut dire qu’il faut s’engager ».
Toutes les boursières disent combien il est important de partager ses expériences avec celles des autres femmes du même âge provenant d’autres parties de l’Italie et de mettre ensemble des compétences si différentes : ingénierie, philosophie, biologie, théâtre etc.
Les stagiaires sont tenues par la main tout le long d’un parcours de connaissance de soi, de découverte de ses propres difficultés ainsi que des ses points critiques qu’il faut aborder et dépasser, d’éclaircissement des objectives à se fixer.
La leadership implique, avant tout, la décision de gouverner soi-même avant de le faire pour les autres. Le premier pas donc est celui de construire un projet de leadership personnel qui soit authentique et réaliste.
Pour atteindre ce premier objectif, il faut devenir plus conscient du monde. Une femme doit connaître le poids du contexte, des mœurs, des histoires, des sociétés qui pèse sur son identité.
Il faut avoir conscience du conditionnement culturel ; refuser la passivité aussi bien que l’agressivité. Il faut apprendre à être assertives.
Une personne assertive a une bonne estime de soi et des autres. Elle sait écouter, élaborer ses projets, définir ses objectifs et ses comportements tout en calculant les effet à cour et à moyen terme. Le fait d’être assertif nous aide à gérer nos relations interpersonnelles ; c’est pourquoi les enseignants du cour Bocconi s’attardent beaucoup sur cette aspect.
« Etre assertifs signifie se connaître avec ses forces et ces faiblesses, être conscient de ses besoins de ses désir et de ses vœux. Cela signifie agir de manière cohérente avec cette image de soi et se sentir à son aise avec soi-même sans la crainte de perdre le respect des autres et leur approbation. Être assertif signifie manifester ses besoins, ses désirs, ses états d’âmes aussi bien verbalement qu’avec un langage non verbal afin qu’ils soient perçus et compris de manière claire ».
On considère assertif celui qui est à même de faire valoir ses opinions et ses droits tout en respectant ceux des autres.
La conquête de la confiance en soi est un autre moment très délicat.
Jusqu’à présent, la confiance en soi de la femme dépendait des relations et de les reconnaissances externes : une fille sage (relation mère/fille), une épouse attentionnée (relation avec son partenaire), une bonne mère (relation avec ses enfants), une grand-mère douce (relations avec ses petits-enfants), une secrétaire impeccable (relation avec le pouvoir masculin) etc.
La femme doit dépasser tout cela car elle doit élaborer et atteindre de manière autonome la confiance de soi, le but étant, finalement, la conquête de son rôle de leadership. Celui-ci, lorsqu’il est authentique, émerge forcément d’un travail intérieur visant à récupérer ou à faciliter l’estime de soi, la conscience de ses propres possibilités, l’acceptation de ses limites et la capacité à fixer des frontières et à les défendre. Voici les passages menant à un vrai leadership :
-                     Conscience de soi
-                     Acceptation de soi
-                     Défenses des limites fixés
-                     Croissance personnelle
Prendre conscience de sa valeur, devenir assertif, s’épanouir et apprendre à être leader, ce sont des passages clé pour arriver au self branding, sa propre auto-promotion, qui est une synthèse des toutes les attentes, les perceptions et les images que les autres se font de nous, quand ils nous regardent ou ils nous entendent.
Il est important que notre image corresponde à ce que nous voulons être, qu’elle soit cohérente aussi bien dans notre vie que sur les réseaux sociaux.
Voilà pourquoi le cours Bocconi s’achève sur deux moments essentiels : comment le CV doit-il être fait, comment faut-il se présenter lors d’un entretien de travail.
III
Chaque Club confie sa stagiaire à une associée dont le rôle est de la guider, la conseiller, l’étayer. Il faut choisir chaque associée avec attention, visant aux potentialités professionnelles de la jeune femme qu’elle va devoir suivre. C’est ainsi qu’on peut créer une relation à moyen ou long terme.
Mais la théorie doit être transformée en pratique. Il faut repérer les points forts actuels et les potentialités d’une femme tout en cherchant la façon pour les développer davantage et pour les appliquer à sa vie professionnelle.
Concrètement, la personne plus experte accepte d’accompagner dans un parcours d’épanouissement personnel la personne qui l’est moins. Elle lui met à sa disposition ses compétences, son expérience mais avant tout elle lui lègue ces règles non écrites qui ont pu entraver la carrière d’autres femmes et que chacune d’entre nous a dû apprendre à maîtriser.
Avoir un mentor à ses côtés, cela peut faire la différence car le mentorat est un processus novateur de formation à travers des conseils qui ont pour but le développement personnel de la jeune femme. C’est moins un rapport de subordination qui s’instaure entre ces deux personnes qu’une relation amicale, cordiale et profitable.
Le mentorat met au centre la personne avec toutes ses facettes. C’est à la fois un support aux carrières et une méthodologie pour transférer des connaissances aux nouvelles générations. De nos jours, les associations se multiplient qui s’intéressent à cet aspect pour créer tant du capital social que de la cohésion sociale moyennant l’épanouissement personnel. En Italie, les projets de mentorat dans le domaine de la formation professionnelle et de l’éducation luttent de manière très efficace contre le chômage. Ce sont des activités complexes qui modifient, dans le milieu du travail, l’ensemble des connaissances et des façons de penser. Ses objectifs sont :
-                     Le transfert des savoirs et des valeurs
-                     Le partage des expériences
-                     Le dialogue entre générations
-                     Le développement des compétences sociales
-                     La possibilité pour les jeunes générations de montrer leurs capacités
-                     Le soutien psychologique
-                     La promotion du sentiment d’appartenance
-                     L’épanouissement de la femme et de ses chances
Pour mener à bien un tel projet, il est nécessaire de définir un but et des objectifs clairs ; il faut avoir de relations professionnelles et non d’amitié pour ensuite aider à s’auto-évaluer.
Un bon projet est une jouissance pour le mentor qui peut communiquer ses connaissances et réfléchir sur ce qui a été acquis.
Une enquête sur l’importance du mentorat dans les lieux de travail révèle que la plupart des femmes de succès ont eu un mentor conventionnel ou informel qui a influencé leur développement personnel et professionnel.

            Pour conclure
Pourquoi le Soroptimist doit s’occuper du mentorat ? A quoi bon ?
Pourquoi devrait-on choisir une soroptimiste comme mentor?
C’est parce que nous savons être pratiques et concrètes et nous ne perdons pas notre temps. En effet, nous sommes des femmes en carrière, mais pas individualistes, qui souhaitent, en revanche, l’épanouissement des autres.



[1] STEM (acronyme de science, technology, engineering, and mathematics) ou STIM (science, technologie, ingénierie et mathématiques) en français canadien, est un américanisme désignant quatre disciplines : sciencetechnologieingénierie et mathématiques. En 2011, selon l’United States National Research Council et le National Science Foundation, ces disciplines sont centrales aux sociétés technologiquement avancées.

mercoledì 28 giugno 2017

I mestieri dimenticati delle donne



I muretti a secco che hanno reso fertili e note ovunque le Cinque Terre, in Liguria, strappando alla montagna lembi di terra preziosi, erano costruiti e conservati dalle donne. “Erano soprattutto le donne ad occuparsene, mentre i mariti lavoravano fuori, a La Spezia o in mare” ricorda un anziano del posto Anselmo Crovara.
Proprio grazie ai terrazzamenti, le Cinque Terre della Liguria sono diventate patrimonio Unesco venti anni fa. I muretti a secco hanno garantito per secoli la tenuta dei terreni con un lavoro umile, paziente, costante, ingegnoso e armonico che ha valorizzato costoni di collina, salvaguardando i paesini sottostanti e la splendida costa: Monterosso al Mare, Vernazza, Cornigia, Manarola, Riomaggiore devono molto della loro storia a questo lavoro umile e poco considerato. Tanto poco considerato che sempre meno persone si sono occupate dei terrazzamenti, tutte prese dal turismo e da attività meno faticose e più remunerative, fino a che la natura non ha fatto il suo corso e, abbandonata la manutenzione, i muretti hanno cominciato a cedere e le colline stanno scivolando a mare.
Nel 2011 il dissesto idrogeologico e le piogge insistenti hanno provocato danni ingenti a questi luoghi. Oggi è una giovane donna, Margherita Ermirio, architetta e artista, che dopo avere imparato l’arte del muretto a secco, ha cominciato ad insegnare a tutti le tecniche di una volta per salvaguardare questo lembo di terra.



martedì 25 aprile 2017

Il mare di Bonassola










L’articolo del Corriere sul cacciatore di onde, un ricercatore del Cnr che aspetta le mareggiate per fotografare l’onda perfetta, mi ha riportata indietro nel tempo di parecchie decine di anni.
Il cacciatore di onde abita a Bonassola in Liguria dove s’infrangono le onde più belle d’Italia.

Ero in vacanza lì tanti anni fa, forse avevo 16 anni. Abitavamo una villetta arrampicata lungo la costa, con un grande terrazzo aperto sul mare tra i pini. Amavo disegnare e passavo lunghe ore sul terrazzo con i blocchi di carta e la matita. Mi piaceva pure nuotare e lo facevo spesso da sola. Mi tuffai anche una mattina in cui le onde erano particolarmente forti, ma soprattutto le correnti erano difficilmente controllabili. Fu così che ad un certo punto mi resi conto che non ero in grado di tornare a terra. Più nuotavo e più la riva si allontanava. Non so quanto tempo ho combattuto contro la corrente. So che all’improvviso si è materializzato accanto a me un uomo robusto che mi ha presa e portata a riva. Credo fosse straniero. Dall’alto della scogliera mi aveva vista in difficoltà ed era venuto a salvarmi. Non so come si chiamasse. Non l’ho più incontrato. Avevo dimenticato l’episodio, poi la vista di quelle onde fotografate e il nome Bonassola ha fatto riemergere il ricordo e la sensazione di impotenza che provai dentro quella massa liquida. 
(Corriere della sera 18 aprile 2017)

lunedì 3 aprile 2017

Soroptimista di natura, da futuroquotidiano.com

Una mia intervista su Futuroquotidiano.com, questo il testo:
“Sono una femminista tardiva. Alle battaglie per i diritti delle donne non mi sono dedicata quando ero giovanissima, troppo impegnata a studiare e a applicarmi, ho aderito in età matura, ma con lo stesso entusiasmo che mi dà la carica. D’altronde, sul tema dei diritti non bisogna mai abbassare la guardia: se non si presidiano, è facile che ci sia un arretramento”. Anna Maria Isastia, Presidente nazionale di Soroptimist International Italia , è una donna motivata e motivante. In lei si fondono davvero le due parole latine che, dal 1921, col primo club creato a Oakland, in California, da Violet Richardson Ward ed altre 79 socie, contraddistinguono l’anima di questa associazione femminile, volano di crescita culturale, sociale ed economica per le donne. Soror & Optimae, ovvero coloro che promuovono la sorellanza e l’eccellenza (optimae); ma, nel caso di Anna Maria, oltre all’eccellenza, ricollego il nome anche all’ottimismo, quello della volontà e della costruttività, con cui dà la carica a circa 6mila socie suddivise in 144 club locali (e ne sono in costituzione di nuovi). Accanto al ruolo ‘istituzionale’ c’è quello originario di docente universitaria, studiosa di storia contemporanea, appassionata della Roma dell’800, che fu davvero un crogiuolo di personaggi e di eventi – e che la professoressa Isastia sa evocare con vividezza, tanto da coinvolgere gl’interlocutori con una narrazione vivace e appassionante-.L’intenzione di intervistarla viene naturale, dopo averla ascoltata intervenire con misura e competenza in alcuni eventi organizzati dal club Soroptimist Roma Tiber, presieduto da Elvira Gaeta.L’ultimo, in ordine di tempo, è stata un’interessante conversazione della Professoressa Daria de Pretis, giudice della Consulta sul tema ‘Donne e Costituzione’.
Cominciamo dalla domanda fil rouge delle mie interviste. Cosa volevi fare a 16 anni?
Mi rivedo con la mente nell’estate dei miei 16 anni, in visita alle zie di mio padre, in vacanza per qualche giorno. Le stravolsi, loro tutte dedite ad una beata ‘casalinghità’ nella routine dei problemi culinari, quando scoppiai in un pianto dirotto: non riuscivo a trasmettere loro il mio rovello adolescenziale, che mi faceva sentire disperata.Una sorta di angoscia esistenziale: mi pareva di vivere una vita inutile giacché, se fossi morta in quel momento, da semplice studentessa liceale e null’altro, non avrei lasciato traccia di me nel mondo. Per le anziane prozie il baricentro della vita era cucinare divinamente e nient’altro; io, invece, già da allora provavo un desiderio incontenibile di rendermi utile, di avere un ruolo nella società.Ci ripenso con un sorriso quando mi ritrovo ad essere una specie di baricentro: per il marito, per il figlio, per i miei familiari d’origine, ma anche per gli studenti e per le amiche del Soroptimist. Troppa grazia! Ma confesso che sentirmi il loro sostegno mi piace.
Lo studio era comunque una conditio sine qua non per assumere tale ruolo…
Frequentavo il liceo classico, ma, in realtà, ero assai dotata per la pittura e il disegno e costruivo dei pupazzetti di panno Lenci ripieni di ovatta. D’altronde, erano tempi in cui le ragazze dovevano trovarsi hobbies casalinghi, non c’era tanta libertà di movimento, se non per andare a scuola. Quando, alla fine delle medie, avrei voluto iscrivermi al Liceo Artistico, i miei lo presero quasi come una proposta indecente: per una signorina di buona famiglia, era considerato una specie di luogo di perdizione. Dunque, Liceo Classico e poi Lettere Moderne all’Università ‘La Sapienza’ di Roma. La pittura la praticai fino ai primi anni dell’Università e mi riusciva, devo dirlo, piuttosto bene.
Come avviene da copione, per una ragazza che s’incamminava verso una vita si può dire già scritta: laurea, matrimonio, insegnamento nelle scuole superiori, cura per la famiglia. Ma eri una cripto-ribelle, vero? 
Ho studiato con grande lena, laureandomi con lode con una tesi in Storia del Risorgimento, relatrice la professoressa Emilia Morelli.Il tema mi sollecitava molto: riguardava un anno nevralgico per Roma, il 1859. Divenne anche un libro, pubblicato nel 1978 dall’Istituto per la Storia del Risorgimento. In quell’anno fatidico, la città brulicava di personalità, ambasciatori, esponenti della nobiltà europea, cardinali, un mondo intero.Dopo la laurea, andai a lavorare per un anno al Museo Centrale del Risorgimento, dove, a costo zero per l’amministrazione, ho allestito l’ala dedicata al decennio di preparazione all’Unità d’Italia. Nel frattempo, mi preparavo e facevo concorsi, cosicché ho vinto sia una borsa di studio all’Università La Sapienza sia la cattedra nelle scuole superiori.Ecco, la mia indole ribelle mi fece optare per la strada apparentemente più difficile, ovvero l’Università. Li avevo tutti in pressing, familiari, fidanzato, amici di famiglia, con le solite sagge argomentazione che mi avrebbero dovuto indirizzare verso la carriera nella scuola.Tenni duro e dovettero arrendersi di fronte alla mia determinazione.
Cominciò così la tua carriera universitaria. Come si è declinata?
Son partita come borsista, per proseguire come ricercatrice e poi professore associato; dall’iniziale insegnamento in Storia del Risorgimento, son poi passata a Storia Contemporanea, dall’Unità d’Italia ad oggi.Amo la ricerca e mi sono occupata di molte tematiche, a cominciare dai Democratici di fine Ottocento – Radicali, Socialisti e Repubblicani -. Metà, fra questi, erano massoni cosicché ho approfondito molti temi che s’intrecciavano con la Massoneria, dall’età liberale fino alla prima guerra mondiale.Vi sono state molte figure di spicco fra questi e non solo Giuseppe Garibaldi: il primo era un personaggio ben scomodo per il Presidente del Consiglio piemontese e poi del neonato Regno d’Italia, giacché fece una vera e propria battaglia affinché entrassero nei ranghi dell’esercito piemontese, poi italiano, i 100mila ‘irregolari’ che aveva condotto alla conquista dell’Unità; una richiesta impossibile da esaudire, giacché per lo più mancavano di qualunque addestramento militare: erano guerriglieri piuttosto che soldati.Altri personaggi straordinari della Massoneria furono Ernesto Nathan, giudicato il miglior sindaco che Roma abbia mai avuto, in carica dal 1907 al 1913 (NdR: cent’anni e passa anni fa!): grazie a lui, la città ebbe il suo primo piano regolatore, municipalizzando l’energia elettrica e l’azienda tramviaria; fece costruire scuole e asili d’infanzia che fornivano anche la refezione…Non va, inoltre, dimenticato il genio di Ettore Ferrari, pittore e scultore, autore della statua di Mazzini sull’Aventino; la statua equestre di Garibaldi, a Rovigo, ha un particolare di forte simbolismo: le staffe in cui infila i piedi il cavaliere rappresentano due corone rovesciate. Più emblematico di così!
Un’attività di ricerca inesauribile. E le tematiche storiche al femminile?
Non ho mai smesso un attimo di scrivere e di fare molta ricerca storica: alle donne in particolare mi sono avvicinata gradualmente, quasi per un personale percorso evolutivo. Ho studiato la condizione disgraziata delle prostitute ottocentesche e quanto fece, qui a Roma, per loro Sara Levi Nathan, la mamma di Ernesto, nonché una delle sostenitrici più vicine a Giuseppe Mazzini (ma anche di Giuseppe Garibaldi).Ne ho scandagliato la vita di esemplare dedizione alla causa mazziniana ma anche a quella delle donne. Fu lei a fondare a Roma la scuola Mazzini per l’istruzione femminile nonché l’Unione benefica, che accoglieva le prostitute, fornendo loro un’educazione al lavoro e un nuovo inserimento.Venendo ai giorni nostri, infine, mi sono occupata della storia delle donne in Magistratura: una storia breve, se calcoliamo che ci vollero oltre 15 anni, dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana per rimuovere gli ostacoli che impedivano l’accesso delle donne in magistratura e in diplomazia.Per ripercorrere questa storia breve ma intensa, ho scritto il libro “Donne in Magistratura. L’Associazione Donne Magistrato italiane” edito da Debatte di Livorno: un cammino dall’esclusione all’inclusione, in un duello di giuristi sul pro e contro, dove fra gli ‘avversari’ all’accesso delle donne vi sono stati anche personaggi che sarebbero diventati Presidenti della Repubblica in un’epoca in cui ormai la magistratura al femminile era ormai una solida realtà.
Altra trincea che per due anni ha orientato la tua vita è quella della Presidenza Nazionale del Soroptimist. Puoi parlarci di quest’esperienza?
Userei due aggettivi: entusiasmante e assorbente. Ma, soprattutto, democratica, giacché le regole che sovrintendono il funzionamento del Soroptimist impongono che una Presidente rimanga in carica solo due anni; non ci sia possibilità di rinnovo; non sviluppi tentazioni personalistiche perché già nel corso della vigenza della propria carica conosce il nome della socia che la sostituirà, di lì ad oltre un anno.Inoltre, il senso di ‘sorellanza’ si proietta pure sulle modalità di esercizio della presidenza, perché vi è una sorta di concatenazione verticistica: la presidente, da un lato è affiancata dalla sua predecessora, dall’altro ha un ruolo di affiancamento per chi le succederà. Insomma, un lavoro solidale e di profonda socialità.
Puoi accennarci qualcuna delle iniziative che hanno caratterizzato la tua presidenza?
Nel corso dell’anno e mezzo da quando sono diventata presidente, ho avviato molte iniziative e intrecciato alleanze istituzionali che realizzano nel concreto gli ideali del Soroptimist. A cominciare dal corso Miur – Soroptimist “Prevenzione della violenza contro le donne: percorsi di formazione-educazione al rispetto delle differenze’; uno sforzo immenso, riguardante almeno una ventina di province, rivolto a docenti delle scuole di ogni ordine e grado e che sviluppa un’azione a largo raggio verso tutti gli attori del processo educativo, docenti, alunni, famiglie, con 10 diversi moduli formativi in presenza, ma anche in modalità e-learning; proseguendo col corso di formazione sulla Leadership al femminile in collaborazione con la Sda Bocconi.Per l’Expo, il Soroptimist Italia ha una presenza assai significativa e un’interlocuzione forte con WE Women for Expo. E’ già previsto per il 7 giugno, a Lecco, nell’ambito di un incontro, dal titolo “WE Italian Soroptimists for Expo’ la presentazione e premiazione dei migliori progetti realizzati dai club sui temi del cibo, sulla cultura dell’alimentazione e sugli sprechi alimentari.Inoltre, abbiamo sostenuto dei corsi Paralegali in Ruanda, condivisi da tutti i club e un progetto di microcredito ‘Un mulino per le donne del Mali’, promosso dal club di Piacenza insieme a tutti i club romagnoli. Entrambi, vincitori del premio ‘Visibilità e Comunicazione’, saranno presentati ciascuno per una settimana al grande pubblico dell’Expo, presso gli spazi del Padiglione Italia: il primo dal 5 all’11 giugno 2015 e l’altro dal 12 al 18 giugno.
Un gran lavoro, sul fronte nazionale e internazionale.
Mica è finita qui! Altri punti nodali del mio ‘percorso presidenziale’ sono rappresentati da iniziative sulla medicina di genere; dal concorso rivolto ai Giovani talenti della musica; sulla Toponomastica femminile e da convegni sul ruolo delle donne nel corso della Grande Guerra, di cui quest’anno ricorre il centenario. Siamo una associazione sempre più feconda d’idee e di riconoscibilità sociale, oltre che territoriale. Lo testimonia la nascita di numerosi nuovi Club (Valchiavenna, Valle Umbra, Fermo e, a breve, Viterbo).Il tutto come concreta dimostrazione che, come dice il nostro ‘grido di battaglia’: “Cultura e impegno, la nostra forza”.
Annamaria Barbato Ricci

mercoledì 29 marzo 2017

EVENTO - Cinquant'anni non sono bastati - Le carriere delle donne - Palazzo Montecitorio




Il mio intervento, presso la Sala Regina di Montecitorio a Roma.
La presentazione del  libro "Cinquant'anni non sono bastati - Le carriere delle donne a partire dalla sentenza n. 33/1960 della Corte Costituzionale", a cura di Anna Maria Isastia e Rosa Oliva. Interventi, oltre a quelli delle curatrici del volume, di Paola De Micheli, Marina Sereni, Valeria Valente, Manuela Di Centa, Monica Parrella, Alfonso Celotto, Susanna Schivo. Moderatrice Valeria Vaccaro. L'appuntamento è stato promosso dalla sottosegretaria all'Economia Paola De Micheli.





martedì 7 marzo 2017

L’8 marzo. La storia



La decisione di dedicare una  manifestazione annuale da svolgersi l’ultima domenica di febbraio o la prima di marzo, in ogni paese  e   destinata a rivendicare il diritto di voto per tutte le donne, fu presa, su proposta della Presidente Klara Zetkin, in occasione della Conferenza della Internazionale socialista delle donne tenutasi a Copenhagen  nel 1910.
La senatrice socialista Elena Marinucci, aveva scoperto questa versione, diversa dalla vulgata corrente,  leggendo il “Bollettino dell'Internazionale Socialista delle Donne” e l'aveva resa pubblica negli anni Ottanta, scrivendo su diversi giornali e proponendo di dedicare la giornata alla realizzazione del diritto delle donne a "essere votate”.
Successivamente e con maggiore autorevolezza, la v
era storia dell'8 marzo è stata resa nota in Italia da Tilde Capomazza e Marina  Ombra, con il libro 8 marzo. Una storia lunga un secolo e poi da Alessandra Gissi, Otto marzo. La giornata internazionale delle donne in Italia.
Il primo 8 marzo fu celebrato in Germania nel 1914 . Sul manifesto dell'iniziativa era scritto "Avanti , con il diritto di voto alle donne".
Negli anni successivi  si svolsero manifestazioni in altre capitali europee, in Francia , Svizzera, Olanda raccontate in Italia dalla "Difesa della lavoratrice", la rivista delle donne socialiste fondata e diretta da Anna Kuliscioff.
Con la Grande Guerra le manifestazioni non ebbero più luogo, ma in Russia, nel  1917, fu proprio la grande manifestazione delle donne  che aprì la strada alla prima Rivoluzione, quella di febbraio (il calendario russo era arretrato di alcuni giorni). Quel giorno le tessitrici e le dipendenti del deposito di tram sfilarono chiedendo pane, pace e diritti per le donne. A loro si unirono gli operai e tante massaie che sfidarono la polizia e i soldati. Una settimana dopo crollava la monarchia e lo Zar abdicava.
In Italia, la prima celebrazione dell'8 marzo si sarebbe tenuta nel 1921, dopo la scissione di Livorno e la nascita del Partito Comunista.
Dobbiamo aspettare il 1945 perché in Italia si torni a parlare di 8 marzo Giornata internazionale delle donne. Lo fanno le donne dell’UDI che in quel momento storico raccolgono cattoliche e laiche, socialiste, comuniste, repubblicane.  Si festeggia nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, con riunioni, comizi, feste popolari.
A Londra in quella stessa data sono riunite donne di venti nazioni che approvano una ‘Carta della donna’ da far pervenire alla neonata Organizzazione delle Nazioni Unite.
Per la prima volta nella storia d’Italia, l’8 marzo del 1947 viene celebrato in Parlamento dove siedono le 21 donne elette alla Costituente. L’8 marzo è considerata una giornata di lotta, ma anche di festa, un momento di auto gratificazione. Sembra sia stata Teresa Mattei, eletta alla Costituente per il Pci, a legare alla festa la mimosa, fiore di stagione economico e facile da trovare.
La data serve anche a difendere il diritto delle donne al lavoro e al riconoscimento del ruolo di capofamiglia per quante erano fonte dell’unico reddito familiare.
Se negli anni Venti, l’8 marzo era incardinato nelle politiche dell’Internazionale socialista, nell’Italia del secondo dopoguerra si preferisce legare l’evento ad un episodio, verosimile, della storia del movimento operaio americano:  operaie morte nell’incendio di una fabbrica forse a Chicago o New York o Boston. Per gli stessi motivi, in Francia la data simbolo viene collegata ad uno sciopero del 1857.

Nel corso dei decenni cambia l’approccio alla Giornata internazionale delle donne, cambiano anche le parole d’ordine e lo spirito con il quale la si vive.