sabato 22 maggio 2021

VERSO LA PARITA’ FORMALE E SOSTANZIALE: Il mio intervento presso la Corte Costituzionale

VERSO LA PARITA' FORMALE E SOSTANZIALE: GLI STRUMENTI from Vimeo Corte costituzionale on Vimeo.

Il mio intervento nell'ambito del convegno organizzato da Rete per la Parità presso la Corte Costituzionale in Roma.


Giovedì 20 maggio, dalle 10,00 alle 12,30, la Corte costituzionale ha ospitato a Palazzo della Consulta il Convegno “Verso la parità formale e sostanziale: gli strumenti. A 60 anni dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33/1960 che aprì le principali carriere pubbliche alle donne”. L’evento è stato organizzato dalla Rete per la Parità (Associazione di promozione sociale per la parità uomo-donna secondo la Costituzione italiana), nell’ambito delle celebrazioni promosse dal Comitato 603360.L’evento è stato trasmesso in diretta su Repubblica online e nella stessa giornata, in differita su Gr parlamento.

Programma:

Prima sessione – Modera Maurizio Molinari,

Direttore del quotidiano La Repubblica

Saluti:

Giancarlo Coraggio, Presidente della Corte costituzionale

Lettura dell’indirizzo di saluto della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia

Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia

Intervento di Rosanna Oliva de Conciliis, Rete per la Parità

Seconda sessione – Modera Linda Laura Sabbadini, Direttrice centrale ISTAT, Chair W20

Relazioni:

Silvana SciarraGiudice della Corte costituzionale: La parità dei sessi

Anna Maria Isastia, Docente di Storia contemporanea – Università di Roma La Sapienza: Un decennio verso la Parità: dal 2010 a oggi.

Rosa VinciguerraTenente Colonnello della Difesa: La lunga marcia delle donne nella Difesa

Sara GamaCapitana della nazionale femminile di calcio: La doppia sfida delle donne nel mondo dello sport

Maurizio Molinari intervista Gabriella Luccioli, già Presidente della Prima Sezione della Corte di cassazione

Conclusioni:

Linda Laura SabbadiniDirettrice centrale ISTAT, Chair W20

sabato 1 maggio 2021

LA CONVENZIONE DI ISTANBUL 10 ANNI DOPO - Il mio intervento al webinar del 29 aprile 2021

 



 PROGRAMMA:


Saluti iniziali della Presidente Nazionale Soroptimist International d’Italia, Mariolina Coppola

 

Presentazione e introduzione Alessandra Fissore, Presidente SI Club di Torino, avvocata;

Prima della Convenzione Anna Maria Isastia, professoressa di Storia Contemporanea, Sapienza Università di Roma, Past Presidente Nazionale Soroptimist International d’ Italia;

 Chi ha paura della Convenzione di Istanbul? Elsa Fornero, firmataria per l’Italia della Convenzione di Istanbul, Professore d’onore Università degli Studi di Torino, ex Ministro del Lavoro;

 I contenuti della Convenzione di Istanbul Eleonora Romani, SI Club Lucca, avvocata;

 Riflessi della violenza di genere: la violenza assistita. La tutela dei bambini nella Convenzione di Istanbul – Alessandra Querci, SI Club Livorno, avvocata;

 In fuga dalla violenza: misure di protezione e sostegno Ausilia Faraci, SI Club Gela, avvocata;

 Le raccomandazioni del GREVIO e lo stato di applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia Michela Labriola, SI Club Bari, avvocata;

 Conclusioni e chiusura lavori a cura della Presidente Nazionale Soroptimist International d’Italia, Mariolina Coppola

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Anna Maria Isastia

Prima della Convenzione di Istanbul. Brevi note

 

 Oggi si fatica a ricordare come era l’Italia degli anni Settanta in cui erano ancora in vigore le norme del Codice Rocco del 1930 che consideravano la violenza sessuale un reato contro la morale pubblica e il buon costume e non contro la persona e sembra incredibile che ci fossero parlamentari che per decenni hanno difeso questi articoli del Codice Rocco.

 “Le donne hanno dovuto lottare persino per vedersi riconosciuta la qualità di  vittima di un reato” affermava Simonetta Matone. In passato infatti la donna non esisteva ed il reato di maltrattamenti veniva punito, perché i reati di un marito troppo violento potevano turbare l’ordine costituito. Oggetto di tutela era la famiglia e non la donna. I reati contro la famiglia, erano i reati contro le istituzioni, perché attentavano alla regolarità dei rapporti familiari. In Italia solo dopo l’introduzione del divorzio (1970) e la riforma del diritto di famiglia (1975), è cambiata la giurisprudenza ed ecco apparire finalmente ‘la donna’, “questa entità misteriosa ed astratta negli anni ’30 e ’40, strumento per la realizzazione di un fine negli anni ’50”[1].

In Italia si cominciò a discutere di questo argomento solo nel 1977 all’interno del movimento delle donne che ha avuto il merito di portare alla ribalta per la prima volta questo problema.

L’attenzione alla violenza domestica va infatti inserita all’interno della lunga riflessione sulla violenza sessuale sulla quale il femminismo italiano degli anni Settanta era profondamente diviso. Una parte del movimento si era mobilitato per avere una legge il cui iter fu il più lungo e travagliato della storia dell’Italia repubblicana. Un’altra parte dei gruppi femministi si era invece opposto risolutamente a qualunque tipo di legge. Mentre a Roma un comitato di donne si era fatto promotore di una proposta di legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale (che fu presentata ad aprile 1979), da Milano era emersa una posizione intransigente perché, si diceva, nessuna legge poteva rappresentare le donne e la loro sofferenza in una società dove il sesso femminile non aveva diritto di esistenza.

Ricordiamoci che nel 1978 era stato girato il documentario “Un processo per stupro” trasmesso dalla Rai in tarda serata nel 1979 che ebbe un incredibile numero di ascolti. Veniva documentato come la ragazza, violentata da un gruppo di stupratori, fosse stata pesantemente offesa dagli avvocati della difesa, anche se poi gli stupratori erano stati condannati, sia pure a pene ridicole, ma soprattutto bisogna ricordare che i colpevoli erano stati condannati per delitto contro la moralità pubblica e non per la violenza ad una giovane donna.

La reazione dell’opinione pubblica fu forte e gli avvocati della difesa chiesero il diritto all’oblio. Da allora questo prezioso documentario girato da un gruppo di registe, non è stato mai più trasmesso dalla Rai.

Ricordiamo che in quegli stessi anni, a livello internazionale, dal 1979 abbiamo la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW), adottata nel 1979 e in vigore dal 1981. E’ la prima grande conquista sul fronte della eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, ratificata da quasi tutti gli Stati membri (gli Stati Uniti sono l’unica nazione sviluppata che non ha ratificato il Trattato), anche se ci sono ancora molti ostacoli ad una applicazione completa dei diritti sanciti dalla Convenzione.

A seguito della forte mobilitazione femminile, i partiti politici presentano progetti di legge che verranno faticosamente unificati in un unico ddl nel 1982. L’iter di questa legge è stato uno dei più lunghi e travagliati perché i parlamentari - dopo faticosi accordi raggiunti in Commissione Giustizia,- rimettevano tutto in discussione ogni volta che il ddl arrivava in aula. Terminata la legislatura si ricominciava nella legislatura successiva.

Il nodo principale sul quale si bloccava in aula ogni accordo votato in Commissione era quello di voler considerare la violenza in famiglia come una situazione extra legge di cui la società non si doveva fare carico. Era una visione dell'unità familiare punitiva nei confronti delle donne.

Si diceva che, a salvaguardia della unità della famiglia, lo Stato deve ritirarsi e lasciare alla vittima, alla donna che subisce all'interno delle pareti domestiche la violenta manifestazione di una sopraffazione quotidiana, l'onere di scegliere se rischiare di interrompere questo sia pur doloroso rapporto coniugale o invece sopportarlo per amore o per bisogno. Si sente l’eco della celebre frase di Carlo Arturo Jemolo utilizzata in senso ben diverso perché il giurista cattolico-liberale affermando che la famiglia è una “isola che il mare del diritto deve solo lambire” intendeva rivendicarne l’autonomia rispetto alle ingerenze dello Stato totalitario fascista.

Gli Atti parlamentari e gli articoli di giornale di quegli anni raccontano bene l’arretratezza culturale della classe politica italiana.

Si faticava a far passare qualunque significativo cambiamento. Elena Marinucci persona con una solida preparazione giuridica, che ha presieduto la commissione giustizia del Senato denunciava il fatto che si presentavano emendamenti volti a ridefinire in buona sostanza lo stupro un delitto contro la pubblica morale e non contro la persona... Insomma non si riusciva a scalfire la cultura dominante.

“Mi stupisce perché tutto il senso del lungo dibattito sulla violenza 'sessuale' era ed è quello di ribaltare la cultura dominante, e trasferire senza incertezze la riprovazione sociale sulla testa dell’autore di questo infame e antico delitto contro le donne”.

Riassumendo il percorso della legge, Elena Marinucci nel 1984 ricordava che la battaglia parlamentare è stata avviata oltre 4 anni fa (10 settembre 1980). Dopo varie opposizioni e contestazioni è stato introdotto il principio che il reato sessuale riguarda i diritti della persona e non la morale.

Di qui l'introduzione della procedibilità d'ufficio e la possibilità per la vittima di costituirsi parte civile. “Nella passata legislatura erano inizialmente favorevoli al progetto di legge il PSI, il Movimento popolare, il PRI ed il PSDI, e contrari la DC, il PCI, gli indipendenti di sinistra e il PLI. Poi il PCI ha cambiato posizione a favore e, infine, la Camera, nella corrente legislatura, ha votato la legge con l'opposizione solo del movimento sociale”[2].

Quattro anni dopo ad aprile 1988 denunciava che: «Per tre volte in tre legislature si è ripetuta la stessa sceneggiata. In commissione o in aula le posizioni tornano a diversificarsi e la legge si arena. Va denunciato il grave pericolo che il ritardo della legge produca effetti criminosi suggerendo l'idea inesatta che lo stupro non sia punito dalla legge».

Anche la Sinistra indipendente scese in campo contro il blocco dell'iter parlamentare. «Gli obiettivi della campagna DC contro la legge - ha dichiarato Mariella Gramaglia, direttrice di ‘Noi Donne’ e deputata della Sinistra indipendente - sono due e sempre gli stessi. Il primo è quello di voler considerare la violenza in famiglia come una situazione extra legge di cui la società non si deve fare carico. È una visione dell'unità familiare punitiva nei confronti delle donne.

«Il secondo obiettivo - continua la Gramaglia - è la sessualità giovanile. Anche noi riteniamo che la violenza su una persona giovane è molto grave. Non siamo però disposti a fare di tutta l'erba un fascio, perché altrimenti si corre il rischio di non riconoscere il diritto alla sessualità dei quindicenni».

Nel 1986 intanto il Parlamento europeo approva una ‘Risoluzione’ sulla violenza contro le donne e invita gli Stati membri a definire una legislazione che riconosca: l’abolizione della differenza tra stupro e violenza, la qualificazione di questi delitti come ‘delitti contro la persona’, il riconoscimento giuridico dello stupro all’interno del matrimonio, la procedibilità d’ufficio e la costituzione di parte delle associazioni femminili nel processo.

Nel corso degli anni la mobilitazione a favore della legge si era intensificata. Nel dicembre 1991 le magistrate italiane fecero una ricerca sulla violenza familiare quale causa ricorrente delle separazioni personali tra coniugi[3].

Nella conferenza mondiale sui diritti umani svoltasi a Vienna nel giugno 1993, si era riconosciuta l’importanza della eliminazione della violenza contro le donne nella vita pubblica e privata, insieme alla necessità di porre fine ad ogni forma di molestia sessuale, sfruttamento e tratta di donne e di rimuovere il pregiudizio di genere nell’amministrazione della giustizia.

Il 20 dicembre 1993 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, affermando che essa costituisce una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in qualunque modo si espliciti: fisica, sessuale, psicologica.

A fronte di tanti impegni a livello internazionale, la materia in esame appariva comunque sfuggente, perché parlare di violenza domestica: “significa aprire una breccia in un terreno inesplorato, da sempre considerato affare privato, questione di famiglia, che il diritto non deve regolare, ma soltanto occasionalmente lambire. Effetto inevitabile di tale posizione astensionistica è stato quello di una minimizzazione del fenomeno, estremamente diffusa nella coscienza sociale e spesso radicata anche nel pensiero della vittima”[4]. Lo affermava Gabriella Luccioli, presidente Admi nella presentazione dei lavori del convegno del 1994.

A Roma nel 1994 fu organizzata una conferenza internazionale delle magistrate riunite nell’ADMI e nell’AIWJ per dibattere e cercare soluzioni al dramma della violenza domestica che riveste dimensioni mondiali, perché riguarda le donne di ogni paese, senza distinzioni di razza e di gruppo sociale di appartenenza ed è tuttavia un fenomeno in gran parte sommerso.

Alla conferenza di Roma[5] parteciparono magistrate di circa quaranta paesi, dall’Albania allo Zimbabwe, legate da una comune appartenenza e interessate a promuovere iniziative comuni.

Far emergere il problema della violenza domestica dal silenzio, affrontarlo quale espressione di un preciso contesto sociale, e non soltanto come fatto individuale di deviazione, significava mettere in discussione il complesso dei rapporti interpersonali all’interno della famiglia, esaminandolo nelle sue implicazioni giuridiche, psicologiche, sociologiche, criminologiche.

Obiettivo della Conferenza era quello di internazionalizzare la questione, ponendo la violenza domestica quale problema generale, perché fosse affrontata nei vari ordinamenti con strumenti adeguati.

La Conferenza di Roma del 1994 della International Association Women Judges (IAWJ) mise in evidenza la lenta emersione del fenomeno della violenza domestica nei confronti delle donne, un fenomeno per troppo tempo rimosso e relegato in un’area razionalmente accettabile, in quanto, secondo schemi culturali ampiamente radicati, si tendeva ad attribuire la responsabilità dell’abuso coniugale a disordini della personalità presenti non solo nell’autore, ma anche nella vittima della violenza.

L’anno dopo a Pechino si svolse la IV Conferenza mondiale sulle donne che dedicò largo spazio al contrasto alla violenza contro le donne dandosi una serie di obiettivi strategici.

In Italia nel frattempo il panorama politico era completamente cambiato. Nella legislatura XI che durò solo due anni (1992-94) nessuno si preoccupò della violenza sulle donne mentre lo scandalo di tangentopoli travolgeva i partiti politici della prima repubblica.

L’argomento tornò all’attenzione del parlamento completamente rinnovato nel 1994 (XII legislatura). Furono presentati 15 progetti di iniziativa parlamentare che si trasformarono in un unico testo unificato grazie all’impegno di tutte le parlamentari. Finalmente i partiti politici sembravano voler raggiungere un reale accordo forse proprio perché le nuove forze politiche presenti in parlamento non rispondevano più alla vecchia cultura e alle vecchie logiche.

Nel 1996 finalmente il parlamento votò  le norme contro la violenza sessuale. La  legge n. 66 del 1996 ha profondamente innovato l’originaria disciplina in tema di  delitti contro la libertà sessuale, ricompresi dal Codice Rocco del 1930  tra i  reati contro la moralità pubblica e il buon costume, inserendoli  invece tra i delitti  contro la  libertà personale.

 Con la nuova configurazione il legislatore  ha affermato che il bene leso non è la moralità sessuale, il cui titolare è la collettività, ma  la singola persona.

 La libertà sessuale costituisce  quindi un corollario insopprimibile di quella individuale[6].

Alla legge del 1996 fece seguito la legge 154 del 2001 che introdusse gli ordini di protezione sulla  base di una  proposta avanzata dalle magistrate già nel 1994[7]

Le pene per il reato di violenza sessuale individuale e di gruppo furono inasprite dal successivo decreto legge del 23 febbraio 2009 convertito in legge due mesi dopo, che prevedeva misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e contro la violenza sessuale e introduceva il reato di stalking.

Sempre nel 2009 il Parlamento europeo votava una Risoluzione ribadendo ancora una volta la necessità di eliminare la violenza contro le donne[8].

 

Attraverso tutti questi passaggi si arriva alla ‘Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica’, firmata a Istanbul l’11 maggio 2011 e poi al Codice Rosso del 2019 di cui parleranno le altre relatrici


[1] Simonetta Matone,  La posizione della vittima prima e durante in processo, in La violenza domestica: un fenomeno sommerso, Angeli, Milano, 1995, p. 102.

[2] Elena Marinucci, Così va modificata la legge contro la violenza sessuale, ‘Avanti!’ 18 dicembre 1984 in Elena Marinucci, Per un mondo più giusto. Scritti su questione femminile e socialismo (1978-2015), a cura di A.M. Isastia, 2019, pp. 267-268.

[3] La relazione che illustra i risultati della ricerca è stata pubblicata nel rapporto annuale all’Onu della Commissione per le pari opportunità presso la presidenza del consiglio dei ministri.

[4] Gabriella Luccioli, Presentazione, La violenza domestica: un fenomeno sommerso, Angeli, Milano, 1995, p. 13.

[5] Il primo congresso dell’IAWJ si tenne a San Diego in Usa nel 1991. Il convegno di Roma fu il secondo.

[6] Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Violenza sessuale. 20 anni per una legge, a cura di Tina Lagostena Bassi, Agata Alma Cappiello e Giacomo Rech, Dipartimento per l’informazione e l’editoria 1998.

[7] Se ne dà atto nella relazione al disegno di legge 2675 del 1998.

[8] Risoluzione del Parlamento europeo del 26 novembre 2009 sull'eliminazione della violenza contro le donne