martedì 19 aprile 2016

Considerazioni sulle fedi religiose e la cultura del rispetto

Intervento di Anna Maria Isastia al Seminario di Siracusa organizzato da Minerva e Maeci il 15-16 aprile 2016 per discutere su “Crisi in Libia: le donne libiche per un network di dialogo e di pace”.




 


Nei paesi di cultura e tradizioni cattoliche si stanno moltiplicando le riflessioni sulle religioni.  All’Università ‘Sapienza’ di Roma l’ 8-9 aprile 2016 si è tenuto un convegno sulla storia delle religioni con oltre settantacinque relatori. Negli stessi giorni è uscito un fascicolo della rivista “Il Mulino” diretta da Michele Salvati, dedicata ad una riflessione sulla difficoltà di separare Stato e Chiesa e, a maggior ragione, politica e religione.  E’  un moltiplicarsi di iniziative che denotano il desiderio e la necessità di capire e riflettere su cosa sta succedendo nel mondo, oggi.
Sotto i nostri occhi si sta verificando una importante inversione di rotta rispetto ad un faticoso percorso di secolarizzazione, avviato  in Italia oltre 150 anni fa e proseguito nel tempo con grandi difficoltà.
Nei paesi europei di cultura cattolica il legame tra trono e altare, cioè tra potere politico e potere religioso è stato per secoli molto stretto. Il potere religioso controllava anche il potere politico, perché il re o l’imperatore erano tali “per grazia di Dio” e il Pontefice rappresentava Dio in terra e aveva il potere di sciogliere e di legare.
Questo solido legame è andato in crisi la prima volta durante la Rivoluzione Francese scoppiata a Parigi nel 1789. Da allora la Chiesa cattolica ha speso tutte le sue energie per recuperare le posizioni che stava progressivamente perdendo, difendendo in ogni modo i valori della tradizione e dell’assolutismo contro ogni ipotesi di modernizzazione della società. Nell’800 lo scontro tra assolutismo e liberalismo è totale. Sono condannate la libertà di riunione, la libertà di associazione, la libertà di stampa, le libere elezioni, il parlamento.
Dobbiamo arrivare alla seconda metà del ‘900, al Concilio Vaticano II perché la Chiesa cattolica scenda a patti con la modernità e smetta di condannarla.
Circoscrivendo le nostre considerazioni alla donna, è quasi scontato ricordare che la condizione della donna nei paesi di tradizione cattolica è stata strettamente legata al peso della religione nella società. Sappiamo quanto la religione ha pesantemente influito nel condizionare il giudizio e la considerazione degli uomini sulle donne.

E’ importante osservare che l’ideale dei diritti umani si è sviluppato dalla proclamazione, fatta dal Cristianesimo, dell’equivalenza di tutti gli esseri umani. L’ideale di tutelare, già in questo mondo, la libertà della persona, scaturisce dalla Riforma protestante del XVI secolo e fu poi elaborata dall’Illuminismo del XVIII secolo. Ma solo nel XIX secolo questo principio cominciò ad includere le donne,  e dal XX secolo ad essere applicato nelle società occidentali.
La religione è stata un fattore socio-culturale di fondamentale importanza in tutte le civiltà. Ogni discorso su Dio è sempre stato espresso con parole legate ad un determinato contesto culturale.
In una prospettiva femminista come conciliare il concetto di un solo Dio con una umanità in cui esistono due sessi?
Nel Giudaismo, nel Cristianesimo, nell’Islamismo, la priorità assegnata all’umanità maschile viene rafforzata da dottrine e simbolismi tradizionali che descrivono Dio con metafore maschili, escludendo quindi il femminile dal concetto di divinità.
Eppure le donne hanno avuto un ruolo decisivo nelle prime comunità cristiane.
Alle origini del cristianesimo convivono  visioni differenti della funzione della donna nella società, che rispecchiano una certa mobilità sociale delle donne. Il cristianesimo asserisce la sostanziale ‘parità’ fra i sessi, almeno sul piano spirituale, ma nel contempo si dà per scontata l’infirmitas del sesso femminile, rendendo evidente il condizionamento nei confronti della mentalità del tempo. Prevarrà la corrente più conservatrice, da cui discendono i dettami volti a “tenere sotto controllo” le donne.[i]


In Italia all’inizio del Novecento è la Chiesa che cerca di frenare il processo di emancipazione delle donne. Diceva il papa Pio X (1903-1914) “La donna? Che la piasa, che la tasa, che la staga in casa”.
Più tardi troviamo una piena convergenza tra Chiesa e fascismo sul controllo della morale e delle donne che restano relegate in un ruolo subalterno.
Nel secondo dopoguerra Pio XII (1939-1958) tenta la riconquista cristiana dell’Italia mentre si avvia la secolarizzazione che avanza inesorabile, portando con sé la lenta ma inarrestabile trasformazione del ruolo della donna nella società italiana che segna tutti gli anni Settanta e Ottanta. Cambiano i costumi, cambiano le leggi, cambia il rapporto uomo-donna nella famiglia e nel lavoro[ii].

I processi storici, culturali ed economici della globalizzazione sembravano destinati a relegare le religioni in una sfera privata. Al contrario inedite forme di convivenza ‘forzata’ prodotte dai fenomeni migratori e le conseguenze di numerosi fatti di cronaca (a partire dall’11 settembre 2001) hanno prodotto un repentino mutamento paradigmatico intorno al ruolo della religione nelle società contemporanee.
Gli studiosi fanno riferimento ad una condizione che viene definita post-secolare: non più una alternativa escludente tra secolarizzazione e ritorno al sacro, ma una relazione dialettica tra forze contrastanti che producono dinamiche e manifestazioni complesse e diversificate (Alessandro Saggioro – Sergio Botta).
In pratica ogni contesto socio-culturale reagisce in forme differenti all’influsso delle religioni.

Oggi le donne europee si sentono minacciate dall’avanzata di una cultura che sta mettendo di nuovo in discussione conquiste costate secoli di battaglie.
La donna occidentale ha conquistato lo spazio pubblico e il diritto a viverlo esattamente come gli uomini.
La donna occidentale ha conquistato i diritti civili.
La donna occidentale ha conquistato la libertà di vestire come preferisce.
Il rispetto delle altre culture, come quella islamica, rischia di imporre limiti alle nostre libertà.
Gli integralismi, quando si tratta delle donne, si assomigliano tutti. E con la scusa di difendere valori come la famiglia, l’onore, il pudore, la castità, vogliono di fatto tornare a quell’epoca in cui le donne, docili e silenziose, dovevano accontentarsi di restare a casa, lasciando agli uomini l’impegno della vita pubblica.
Come scrive Michela Marzano, rischiamo di tornare all’intolleranza e all’umiliazione nel nome della tolleranza e del rispetto. “Come si può, nel nome della tolleranza, tollerare appunto l’intolleranza”?
Nei paesi europei dove l’immigrazione islamica ha dimensioni importanti, è ormai in corso una revisione delle regole del costume. Nuove direttive cominciano ad essere applicate negli uffici, nelle piscine, sui treni, per “non urtare” i sentimenti dei musulmani. Viene messa il discussione la moda delle donne a partire dalla minigonna.

In contemporanea la Chiesa cattolica con il papa si sta aprendo alle donne come mai in passato. Non si impone più alle donne di avere come referente la Madonna e le sante vergini. La Santa Sede ha appena costituito la Consulta femminile formata da 34 donne con il compito di “consigliare e arricchire l’orizzonte” della Chiesa per “offrire un punto di vista diverso e un contributo vero” (aprile 2016).
Il papa, per la prima volta nella storia, nel 2016 ha lavato i piedi anche ad una donna, nella cerimonia della lavanda dei piedi del Giovedì Santo.
E’ ancora il papa ad insistere sul concetto che  « Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui”.[iii]
L’attuale papa, Francesco, è ancora più chiaro quando insiste sul concetto della parità uomo donna voluta da Dio.

Il femminismo affermando l’autonomia delle donne in campo sociale, biologico, culturale, ha realizzato una rivoluzione che ha fatto crollare l’androcentrismo e ha posto una sfida al Cristianesimo tradizionale. Gli ultimi papi hanno intercettato questa esigenza cui stanno offrendo risposte importanti. Gli ultimi documenti papali sulla donna e sui rapporti tra i sessi raccontano molto bene quanto fosse “culturale” il disprezzo di San Gerolamo, Tertulliano, San Paolo e di tutti i Padri della Chiesa nei confronti della figura femminile che oggi viene riscattata e restituita alla sua dignità piena di persona.
Forse è questa la strada da seguire per coniugare il rispetto delle diverse fedi religiose con una società in rapido mutamento.
                                                                                             Anna Maria Isastia




[i] Donne nello sguardo degli antichi autori cristiani. L’uso dei testi biblici nella costruzione dei modelli femminili e la riflessione teologica dal I al VII secolo, a cura di Kari Elisabeth Borresen, Emanuela Prinzivalli
ed.
 Il pozzo di Giacobbe, 2013; Georges Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, Laterza, 1999.   
[ii] Giancarlo Zizola, Il modello cattolico in Italia, La vita privata. Il Novecento, Laterza 1988, pp. 247-307.
[iii] Joseph Ratzinger, Dio e il mondo , 2001.

mercoledì 13 aprile 2016

Donne e scienza - Da giudicedonna.it

Articolo pubblicato sul numero  1/2016 di  giudicedonna.it 

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L’8 marzo 2016,  in concomitanza con la Giornata internazionale della Donna, e in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio parte il mese delle STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) promosso dal Miur, con il logo “Le studentesse vogliono “contare”!”.
L’iniziativa si inquadra nella strategia di attuazione del comma 16 della legge 107/2015 e della promozione delle pari opportunità volte a contrastare anche gli stereotipi di genere.
Uno degli stereotipi esistenti dentro il sistema formativo è quello di una presunta scarsa attitudine delle studentesse verso le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) che conduce a un divario di genere in questi ambiti sia interno al percorso di studi che nelle scelte di orientamento prima e professionali poi. Solo il 38% delle studentesse indirizza il proprio percorso formativo verso le discipline cosiddette STEM. Il dato, evidentemente ancora troppo basso, si presta a molteplici letture di carattere sociale, culturale e anche educativo/orientativo.
Alla luce delle sfide tecnologiche sempre più pressanti e della possibilità professionali e occupazionali crescenti negli ambiti produttivi ed economici legati alle nuove tecnologie, diventa necessario far acquisire alle studentesse la consapevolezza dell’irrinunciabilità del proprio pari contributo allo sviluppo sociale e culturale del Paese anche in ambiti “tradizionalmente” ed erroneamente poco attrattivi per le donne.
L’intento più generale di questa iniziativa è dunque quello di contrastare fin dall’ambito formativo gli stereotipi che vogliono le donne scarsamente predisposte verso lo studio delle STEM e meno interessate a intraprendere studi e professioni tecnologiche e digitali, rimuovendo gli ostacoli di tipo culturale, sensibilizzando docenti e studenti e valorizzando il talento degli studenti e delle studentesse insieme in tali ambiti.
Perché si è resa necessaria una tale iniziativa? Perché le donne sono così scarsamente presenti in certi contesti professionali? Perché ancora oggi si ritiene che le donne siano meno versate per determinate discipline, anche se i dati ci dicono il contrario?
Le statistiche dimostrano che a scuola ragazze e ragazzi hanno risultati analoghi in campo scientifico e spesso le studentesse prendono voti più alti degli studenti anche in matematica, fisica, scienze.
Poi però l’appartenenza di genere influenza le scelte in campo formativo e lavorativo e di conseguenza troviamo meno donne iscritte a facoltà ad alto contenuto tecnico-scientifico e meno ragazzi iscritti a facoltà umanistiche. Oggi su 100 laureati, 58 sono donne, ma se gettiamo uno sguardo ai laureati per gruppi disciplinari si evidenzia subito che le donne laureate in ingegneria sono 20 su 100, mentre salgono a 92 su 100 nelle materie che portano all’insegnamento.
Nell’ambito del dottorato di ricerca le donne sono ancora in maggioranza: 52 su 100 sono dottori di ricerca. Quando però si presentano ai concorsi di ricercatore, la prevalenza maschile comincia a delinearsi nettamente: le donne si fermano al 42% anche se hanno ottimi titoli formativi e pubblicazioni migliori. I dati europei ci dicono che la presenza femminile nel mondo scientifico è in media del 38% e l’Italia è allineata su questi dati.
Le donne fanno meno carriera degli uomini e accedono con più difficoltà ai fondi di ricerca che sono indispensabili per produrre risultati scientifici.
Due ricercatrici dell’università di Goteborg in Svezia, quindici anni fa pubblicarono sulla rivista Nature un articolo che fece scalpore: le due studiose affermarono che così come Virginia Woolf aveva bisogno di danaro e di ‘una stanza tutta per sé’ per scrivere romanzi, anche le donne ricercatrici hanno bisogno di soldi, di strutture e di una ‘cattedra tutta per sé’, per produrre risultati e avanzamento della conoscenza.
Una indagine sulla assegnazione dei fondi di ricerca documenta con facilità che, a parità di titoli, l’uomo è preferito alla donna perché considerato più competente.
I dati italiani e quelli europei non si discostano molto da quelli elaborati dalla New Jersey Institute of Technology.
In America, le donne rappresentano circa il 50% della popolazione e costituiscono il 47% della forza lavoro, ma rappresentano solo il 24% della forza lavoro STEM. Le donne sono il 53% nel campo delle scienze sociali e il 51% delle scienze biologiche e mediche. Al contrario, costituiscono solo il 13% nel campo dell'ingegneria e del 26% nel campo dell'informatica e delle scienze matematiche.
Ancora una volta, nell’affrontare questioni che attengono al ritardo femminile in tanti ambiti lavorativi, ci rendiamo conto che l’esclusione e la cancellazione della memoria partono da molto lontano e restano costanti nel tempo.
Quanti sanno o ricordano che in tempi molto lontani da noi Teano di Crotone, moglie di Pitagora assunse la guida della scuola alla morte del maestro? Questa informazione ci indica che la moglie aveva le stesse conoscenze del marito e la sua stessa cultura, ma mentre tutti sanno chi era Pitagora, chi ha mai sentito nominare Teano?
Le donne cui è stato permesso di avvicinarsi alla cultura erano mogli di o figlie di. Era una figlia Ipazia, il cui padre Teone volle farla studiare con i risultati che conosciamo. L’astronoma Caroline Herchel poté fare ricerca grazie al fratello William. I fondatori della chimica moderna sono i coniugi Lavoisier, Antoine-Laurent  e  Marie-Anne Pierrette Paulze, che divenne nel tempo la sua collaboratrice scientifica, tradusse opere dall'inglese e illustrò i suoi libri. 
Sono molte le donne che hanno potuto dimostrare le loro capacità per motivi del tutto particolari come capitò a Emily Warren Roebling, moglie di Washington Roebling capo ingegnere del ponte di Brooklyn che portò a compimento l’opera del marito quando questi rimase paralizzato in conseguenza di una embolia gassosa, a seguito delle immersioni nelle camere di scavo sottomarine. Fu lei a terminare, nel 1883, un’opera costata 15,5 milioni di dollari dell'epoca, che richiese la manodopera di 600 operai.
In genere la memoria collettiva e gli studi ricordano il nome dell’uomo e cancellano quello della donna, relegata al massimo nel ruolo di collaboratrice o esecutrice.
Un altro dato non secondario è legato al fatto che, in passato, le donne colte che scrivevano e pubblicavano lo facevano in maniera anonima oppure pubblicavano con il nome del marito o ancora con uno pseudonimo maschile.
Sophie Germain, nell’Ottocento si firmava Monsieur Le Blanc per poter corrispondere col matematico Lagrange e sottoporgli i suoi lavori. Paradossale è la vicenda di Trotula de Ruggiero, medica medievale della rinomata Scuola delle Mulieres salernitanae: nonostante firmasse le sue opere col proprio nome, nelle trascrizioni successive questo fu cambiato nel maschile Trottus, probabilmente perché era impensabile che una donna avesse delle competenze in campo medico.
A metà Ottocento a Parigi Cristina Trivulzio traduce in francese l’intera opera di Giovan Battista Vico e pubblica il trattato di teologia Essai sur la formation du dogme catholique. Entrambi i lavori  vengono pubblicati anonimi, ma tutti ne conoscono l’autrice e proprio per questo sono accolti da incredulità e ironie diffuse. Le attività della principessa di Belgiojoso creano disagio e incomprensione, sia che voglia imporre la sua presenza di donna che non rispetta le convenzioni sociali del suo tempo, sia che manifesti un suo autonomo modo di ragionare su temi per tradizione monopolio della cultura maschile, come la speculazione filosofica. Si nega che una donna possa avere un pensiero “forte”, dato che il pensiero sarebbe per sua essenza “virile” e dunque non dovrebbe poter diventare “le caprice d’une femme à la mode”.
Considerazioni molto simili si possono fare per l’inglese Ada Lovelace figlia di Lord Byron e una delle donne più famose in Inghilterra e in Europa grazie alla sua passione e al suo indiscusso talento per la matematica cui era stata iniziata dalla madre. Nei suoi scritti Ada sottolineava spesso la frustrazione per il disprezzo e la mancanza di considerazione con cui si trovava a fare i conti ogni giorno. Ad appena diciassette anni conobbe Charles Babbage, che stava lavorando alla sua macchina analitica, un vero computer ante litteram. Collaborando con il padre dell’informatica, questa giovane donna elaborò un algoritmo che viene oggi riconosciuto come il primo programma informatico della storia. Inoltre fu proprio dal lavoro di Ada, che Alan Turing prese l’ispirazione necessaria per costruire il primo moderno computer. Oggi Ada Lovelace è considerata il simbolo di tutte le donne che dedicano la loro vita alla scienza e alla ricerca, ma a lungo il suo contributo venne deliberatamente ignorato e sottovalutato. Solo nel 1979 il Ministero della Difesa statunitense onorò la sua memoria e il suo lavoro chiamando “ Ada” un linguaggio di programmazione.
Ho fatto solo pochi esempi, a titolo esemplificativo, ma i casi di studio sono tanti[1] e spiegano, forse, perché, ancora oggi, lo stereotipo fa aggio su una realtà che è stata a lungo negata o sottaciuta.

Anna Maria Isastia

[1] Sara Sesti, Liliana Moro, Scienziate nel tempo : 70 biografie, Milano LUD, 2010.