sabato 16 gennaio 2016

No razzismo, no tolleranza



I fatti di Colonia sono destinati a creare un discrimine tra un prima e un dopo e ad entrare nella storia.  La sottovalutazione, da parte della polizia, di quanto stava accadendo nella notte del 31 dicembre 2015 ad Amburgo, a Colonia e in altre città tedesche; la difficoltà con cui le donne hanno cominciato lentamente a denunziare i fatti; le perplessità con cui le donne stesse hanno accolto le notizie, diffidando delle prime ricostruzioni e temendo strumentalizzazioni, ci offrono molti spunti di riflessione sui nostri condizionamenti culturali. Non vogliamo essere accusate di razzismo e il nodo religioso ci induce a tacere o a sottovalutare alcune realtà. All’inizio è stato taciuto anche il fatto che gli assalitori erano nord africani e del vicino oriente e che parlavano arabo. In Germania sono entrati 500.000 immigrati in tre mesi, tutti giovani e pieni di testosterone. La loro cultura dei rapporti uomo donna è profondamente diversa dalla nostra e non credo che abbiano avuto il tempo di capire chi siamo noi.
Oggi abbiamo bisogno di rivendicare il rispetto universale dei diritti umani e superare il concetto di tolleranza attraverso il quale siamo disposti, in nome del relativismo culturale ed all’insegna di una sorta di razzismo “rovesciato”, a giustificare troppe cose.
Non può esserci tolleranza contro le violazioni dei diritti umani, che sono universali e in quanto tali, essi sì, non devono conoscere barriere. L’uguaglianza è uno dei cardini su cui abbiamo costruito il nostro mondo, e proprio sull’uguaglianza si concentrano le maggiori contestazioni, soprattutto quando si tratta di uguaglianza uomo-donna. Non si possono fare concessioni a coloro che si appellano ai testi sacri, alle tradizioni o alle culture per negare l’uguaglianza, nemmeno in nome della tolleranza.
In Occidente abbiamo lottato per secoli per raggiungere gli attuali precari equilibri e la donna ha dovuto faticare molto per “conquistare” lo spazio pubblico. Oggi noi europee, noi donne occidentali siamo libere di occupare lo spazio pubblico, mentre in tanti altri paesi questo diritto deve essere ancora conquistato.
In questi giorni in India centinaia di giovani donne si incontrano nei parchi pubblici delle principali città, con lenzuola e cuscini per dormire, cioè per rivendicare il diritto ad uno spazio pubblico, contro paura e pregiudizi.
In nome del diritto allo spazio pubblico delle donne, il sindaco di Bornheim, una cittadina 30 chilometri a sud di Colonia, ha deciso di vietare l’ingresso in piscina agli immigrati maschi ospiti del centro di accoglienza locale, dopo che alcuni di loro avevano molestato parecchie donne. La misura è temporanea e sarà tolta una volta che ai profughi sarà stato spiegato che rapporto tenere con il sesso femminile.
Le relazioni tra culture diverse passano dalla integrazione e non dalla tolleranza.
Non sarà un cammino semplice né breve, ma forse non c’è altra strada da percorrere. La multiculturalità in Europa ha fallito lasciando crescere e radicarsi ‘isole’ con culture e tradizioni diverse e antitetiche alle nostre che rischiano di travolgerci.


(Immagine tratta da Wikipedia)


domenica 10 gennaio 2016

Integrazione o multiculturalismo?


Gli europei chiedono oggi agli immigrati di integrarsi in un comune sistema di valori culturali, regole e comportamenti sociali. Questo vuol dire accettare e riconoscere la nostra cultura. Vuol dire anche mettere in discussione tutta la politica del multiculturalismo che ha guidato per decenni la linea di molti paesi.
Integrazione e multiculturalismo sono antitetici. In un caso si chiede di imparare la lingua del paese ospitante e rispettare le sue leggi, mentre nell’altro si accetta che le donne restino segregate a casa, che un uomo possa avere più mogli e costringere le figlie a sposare uno sconosciuto che arriva da migliaia di chilometri di distanza, in nome del rispetto di usi e costumi diversi dai nostri. Il multiculturalismo è stato il faro di molti paesi in Occidente, sembrava l’unica via percorribile, l’unica ‘politicamente corretta’ in nome di una pari dignità di tutte le culture.
Oggi però, dato l’enorme numero di persone che arrivano in Europa dal sud e dall’est del mondo, abbiamo il diritto e il dovere di chiederci se davvero in una società possano convivere senza problemi culture tanto diverse.  Multiculturalismo non significa mangiare un giorno cucina cinese, un giorno cucina messicana e un giorno cucina francese. Multiculturalismo vuol dire lasciare che ognuno coltivi le sue certezze anche se sono antitetiche tra loro e portatrici di valori opposti a quelli del paese ospitante.
Abbiamo il dovere di accogliere chi fugge dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni; chi cerca una vita migliore, ma dobbiamo chiedere in cambio di imparare la lingua del paese dove si vive e di accettare le sue regole base, innanzitutto la pari dignità di donne e uomini.

Anche Dacia Maraini scrive che le politiche di accoglienza vanno riviste e che dobbiamo difendere le nostre conquiste di parità e libertà. Chiede rispetto reciproco: io rispetto la tua religione e tu rispetti la mia. Poi però aggiunge che è necessario rispettare le abitudini altrui chiedendo in cambio il rispetto delle nostre. Siamo sicuri che sia sufficiente a garantire una convivenza tranquilla tra culture diverse? Temo proprio di no. 

sabato 9 gennaio 2016

Le donne hanno diritto alla libertà?






Silenzi, imbarazzi, sottovalutazione, tentativo di ridurre ai minimi termini una situazione pesante e pericolosa. E’ questa la realtà di quanto accaduto a Colonia e in parecchie altre città del nord Europa nella notte di Capodanno. Difficile pensare ad un ‘caso’ quando migliaia di giovani uomini di paesi medio orientali e nord africani si muovono in perfetta sintonia, compiendo le stesse azioni in luoghi diversi. Ma gli stereotipi culturali sono duri a morire ovunque. Il ‘politicamente corretto’ nei confronti dei rifugiati e degli stranieri ha prevalso rispetto alla nuova attenzione e al rispetto che le donne reclamano e ritenevano di avere ormai acquisito. Sbagliato. Le donne non dovrebbero mai commettere l’errore di considerare nulla definitivamente acquisito!
Nessun politico vuole rischiare di apparire xenofobo o ‘di destra’ difendendo donne contro stranieri e allora si cerca di ridimensionare il più possibile quanto accaduto. La tutela delle donne viene sempre ‘dopo’ e gli storici lo sanno bene: ‘dopo’ la vittoria della rivoluzione,’dopo ‘ la vittoria della classe operaia, dopo…..
Per frenare l’estrema destra dei paesi europei, politici e intellettuali tacciono o minimizzano, ma è un silenzio pericoloso. Angela Merkel ha pronunciato parole dure, ma dopo otto giorni dai fatti. A Colonia c’è una donna sindaco, ma anche lei ha cercato di ridimensionare i fatti prima di arrendersi all’evidenza. Anche per lei era importante salvaguardare innanzitutto la politica dell’accoglienza che vede la città tedesca in prima linea e in piena sintonia con la linea della cancelliera.
Le donne strattonate, palpeggiate, abusate però non hanno taciuto e hanno parlato gli uomini che stavano con loro (amici, fidanzati) e le autorità hanno dovuto prendere atto che qualcosa di grave era effettivamente successo. Il capo della polizia di Colonia Wolfgang  Albers è stato sospeso soltanto otto giorni dopo i fatti del 31 dicembre, quando è apparso evidente che i sospetti sono tutti stranieri e molti di essi sono richiedenti asilo.
Bisogna prendere atto che siamo di fronte ad un fenomeno del tutto nuovo. Alla paura delle bombe e degli assalti ai luoghi pubblici nelle nostre città europee dobbiamo adesso aggiungere una nuova paura. E’ partito l’attacco alla nostra identità culturale, alla nostra libertà. Non lasciamoci ingannare dai furti di borsette e cellulari. Gli assalitori di Colonia volevano umiliare e punire la libertà delle donne europee. Queste donne con i capelli al vento e libere di vestire e vivere come preferiscono sono disprezzate da migliaia di giovani uomini arrivati da paesi dove la cultura dominante relega la donna in una dimensione di totale sottomissione e subordinazione e le nega una identità nascondendola anche fisicamente alla vista.

Non possiamo e non dobbiamo minimizzare la realtà. La laicità va difesa senza temere di essere considerati islamofobi. Chi chiede asilo in Europa deve imparare a conoscere e ad accettare la nostra cultura, i nostri valori e a rispettare quelle che per noi sono conquiste irrinunciabili.

giovedì 7 gennaio 2016

Quelle donne libere umiliate a Colonia dal fanatismo

Pierluigi Battista
7 gennaio 2015






Gli uomini che a Colonia si sono avventati come animali sulle donne in festa per il Capodanno volevano punire la libertà delle loro vittime. Hanno palpeggiato, molestato, umiliato, violentato, picchiato le donne che osavano andare da sole, che giravano libere di notte, che si abbigliavano senza rispetto per le ingiunzioni e i divieti consacrati dai padroni maschi. Consideravano prede da disprezzare e da percuotere le donne che facevano pubblicamente uso di una libertà che gli stupratori e gli energumeni di Colonia considerano inconcepibile, peccaminosa, simbolo di perversione, donne che studiano e lavorano. Che sposano chi desiderano e non il marito oppressore che la famiglia, la tradizione, il clan assegnano loro. Che non sono costrette a uscire solo in compagnia dell’uomo prevaricatore. Che bevono e mangiano in libertà, entrano nei locali, fanno l’amore quando scelgono di farlo, brindano a mezzanotte, indossano jeans e magliette, flirtano, fanno sport e si scoprono per praticarlo, hanno la sfrontatezza di festeggiare il Capodanno con i loro amici maschi. Per chi considera la libertà delle donne un peccato da estirpare, le donne libere sono delle poco di buono da umiliare, da riempire di lividi sul seno e sulle cosce aspettandole all’uscita della metropolitana e con la polizia impotente e immobilizzata. Come si fa con gli esseri considerati inferiori.
Come è accaduto a Colonia in una tragica e sconvolgente prima volta nella storia dell’Europa contemporanea in tempo di pace. È stato un rito di umiliazione organizzato, coordinato, diretto a colpire quello che oramai comunemente viene definito uno «stile di vita».
Nonostante i retaggi del passato, nonostante le tenebre oscurantiste che ancora avvolgono come fumo di un passato ostinato le città e persino le famiglie dell’Europa figlia dell’Illuminismo, malgrado i branchi di lupi che infestano i nostri Paesi e fanno morire di paura le donne che si avventurano sole, le ragazze indifese di fronte al bullismo e al teppismo, malgrado tutto questo, la libertà della donna resta pur sempre un principio e una pratica di vita inimmaginabile in altri contesti culturali, in altri sistemi di valori.
Ed è l’incompatibilità valoriale con questo spirito di libertà che le bande di Capodanno hanno voluto manifestare contro le donne che andavano a ballare, a bere, a baciare anche.
Non capire il senso di «prima volta» che gli agguati di Colonia portano con sé è un modo per restare ciechi, per non capire, per farsi imprigionare dalla paura e dall’afasia.
Così come non abbiamo voluto vedere, abbiamo fatto finta di niente, siamo restati volontariamente ciechi quando al Cairo, nella leggendaria piazza Tahrir, la «primavera araba» diventò cupa e le donne a decine cominciarono in nome dell’Islam ad essere aggredite, molestate, violentate dai super-fanatici del fondamentalismo misogino. Ora dovremmo cercare di capire che nelle gesta di prevaricazione degli uomini che odiano le donne libere si riflette un gesto di aggressività valoriale di stampo irriducibilmente sessista e non lo sfogo barbarico di un primitivismo pulsionale. Un atto di sopraffazione culturale, non di ferocia animalesca e irriflessa.
Con tutte le cautele e il senso di responsabilità che si deve in questo genere di problemi, Colonia ha lo stesso significato di aggressione simbolica dell’irruzione fanatica nella redazione di Charlie Hebdo : lì veniva scatenata un’offensiva mortale contro la libertà d’espressione, considerata un peccato scaturito nel cuore del mondo infedele; qui contro la libertà della donna, la sua emancipazione impossibile e temuta in contesti culturali che danno legittimazione ideale e persino religiosa al predominio e alla sopraffazione del maschio. Certo, è diverso lo sterminio dei vignettisti dalle botte umilianti di Colonia. Ma c’è un comune sostrato punitivo, l’identificazione di un simbolo culturalmente indigeribile che stabilisce una distanza abissale tra uno «stile di vita» libero e una mentalità che bolla la libertà delle persone, uomini e donne allo stesso modo, come una turpitudine, un’offesa, un peccato, un oltraggio.
Rubricare invece le violenze di Colonia come una delle tante, tristissime manifestazioni di aggressione contro le donne che infestano la vita delle città europee significa smarrirne la specificità, la novità, il senso stesso della sua dinamica. Significa non capire cosa ha mosso gli aggressori, il fatto che fossero centinaia e centinaia in un abuso di massa del corpo e della libertà delle donne come non si era mai visto. Loro, gli aggressori, possono dire che le donne colpite e umiliate «se la sono cercata» semplicemente perché hanno scelto un modo di vivere inammissibile e peccaminoso. A noi il compito di difenderlo, questo modo di vivere, e di considerare inviolabili le donne, e la loro libertà.
Corriere della sera 27° Ora

http://27esimaora.corriere.it/articolo/quelle-donne-libere-umiliatea-colonia-dal-fanatismo/


mercoledì 6 gennaio 2016

Quando i regali li portava la Befana




Quando ero bambina i regali li portava la Befana. Il 6 gennaio nel giorno in cui nei presepi si aggiungevano le figure dei tre Re Magi, arrivava la vecchina con i doni per tutti. Era una grande occasione anche perché era l’unica in tutto l’anno. Non ricordo che i bambini ricevessero giocattoli e balocchi in ogni occasione. I desideri si coltivavano per mesi in attesa di quella data fatidica. La mattina del 6 gennaio trovavo i regali a casa, poi nel pomeriggio era tradizione andare a casa dei parenti dove arrivava una Befana in carne ed ossa con un sacco enorme pieno di altri giocattoli. La festa durava tutto il giorno, ma la mattina dopo si doveva abbandonare ogni cosa perché ricominciava la scuola con i suoi ritmi e i suoi obblighi.

Ricordo che qualche bambina della mia scuola riceveva i doni a Natale, ma erano poche. Mi sembrava una grande ingiustizia perché loro potevano profittare di tutte le feste natalizie per giocare mentre a me erano riservate solo poche ore. Non ricordo di avere mai avuto bambole: non avrei saputo come giocarci. Il regalo più bello che ho ricevuto? Una macchina rossa comandata a distanza che potevo guidare in giro per casa. Una goduria! E’ l’unico giocattolo di cui ho memoria a distanza di tanti decenni.