La parola migrante si
è silenziosamente sostituita alla parola emigrante. Quando e chi lo ha deciso?
Secondo l’Accademia
della Crusca: “Migrante sembra adattarsi meglio alla condizione maggiormente
diffusa oggi di chi transita da un Paese all’altro alla ricerca di una
stabilizzazione: nei molti transiti, questo è il rischio maggiore, si può
perdere il legame con il paese d’origine senza acquisirne un altro altrettanto
forte dal punto di vista identitario con il Paese d’arrivo”.
I numeri sono
impressionanti. Con 60 milioni di sfollati, richiedenti asilo e rifugiati, il
2015 sarà ricordato per l’inadeguatezza dei governi e la loro incapacità a
gestire una situazione che non può più essere definita emergenziale.
Dalla fine della
seconda guerra mondiale non si erano mai visti numeri così alti e siccome il
fenomeno è in costante ascesa parlare ancora di ‘emergenza umanitaria’ è
veramente disarmante e riduttivo. Di fronte a movimenti di massa, in tutto il
mondo, di tali dimensioni, è necessario un cambio di passo a livello globale
perché nessuno Stato può pensare di gestire la situazione in maniera
autarchica.
Nel 2015 sono stati circa
163.000 i rifugiati che hanno chiesto asilo in Svezia, la percentuale maggiore
tra i paesi europei rispetto al numero di abitanti. Ma con l’arrivo di 10.000
migranti a settimana a novembre, in gran parte passati per la Danimarca, il
governo svedese ha annunciato la restrizione dei controlli. La Svezia ha reintrodotto i
controlli alla frontiera con la Danimarca, che a sua volta li ha riavviati nei
riguardi della Germania. Due misure messe in campo per tentare di arginare il
flusso di richiedenti asilo. A Calais sono stati rafforzati i controlli tra
Francia e Gran Bretagna. In modo analogo si sono mossi i paesi confinanti con
la Grecia. Ungheria, Austria, Slovenia,
Macedonia hanno alzato muri e messo filo spinato alle frontiere per fermare il flusso via terra che ha portato enormi
numeri di migranti dal medio oriente verso la
Germania e i paesi del nord Europa. Infine l’Austria ha ricostituito anche controlli
alla frontiera italiana del Brennero.
L’OIM (organizzazione mondiale per le migrazioni) informa che nel 2015 sono
stati oltre un milione (1.084.625) i migranti, arrivati in Europa per terra e
per mare e questo flusso prosegue senza sosta.
Tanti, troppi minori arrivano soli. Da gennaio 2016 sono arrivati in Italia
7000 minorenni non accompagnati. Siamo tutti consapevoli che sono a rischio
abusi. Molti scompaiono e non se ne sa più nulla. Sappiamo invece che, secondo
i dati Unicef, 2809 piccoli sono morti in mare durante la traversata.
Solo adesso, siamo a giugno 2016, l’Unione Europea sta cercando di
elaborare un piano che ha soprattutto il merito di affrontare finalmente il
problema nel modo giusto. Non più una posizione passiva verso un fenomeno di
ridistribuzione globale di esseri umani, non più spettatori attoniti di un
dramma di proporzioni bibliche, ma attori consapevoli. Il piano UE per i
migranti è di difficile elaborazione e di più difficile attuazione, ma nessuno
può ancora pensare di ignorare il problema o di risolverlo chiudendo le
frontiere e/o mettendo il filo spinato.
Sono mesi che si ripete che «Schengen è a rischio. La libertà di movimento
è un principio importante, uno dei risultati più grandi dell’Unione europea
negli ultimi anni, ma è in pericolo a causa del flusso di profughi».
Gli studiosi sanno che l’uomo è sempre stato in movimento, migrando da una
regione all’altra e da un continente all’altro. Non si era però mai dato un
fenomeno così travolgente che vede contemporaneamente in movimento milioni di
persone in tutti i continenti.
La spinta demografica è una motivazione valida in passato e a maggior
ragione oggi. Per gli stessi motivi ci si sposta da luoghi poveri di risorse
verso una maggiore ricchezza di risorse. Nell’antichità le popolazioni si
spostavano verso nuove regioni dove praticare la caccia e la raccolta, ora i
poveri si spostano dove credono di trovare risorse per la sopravvivenza e una
migliore qualità della vita. La popolazione mondiale non ha mai raggiunto le
cifre di oggi e questo ingigantisce i numeri di una situazione che appare
difficilmente controllabile. Anche la rapidità degli spostamenti ha modificato
la percezione del fenomeno.
Lo studioso Giorgio Manzi ritiene però che “il fenomeno attuale segna un’inversione
di tendenza nei rapporti tra le parti in gioco. Nella preistoria a diffondersi
erano i vincenti – quelli più adatti, quelli ecologicamente e demograficamente
di successo – oggi invece a diffondersi sono i poveri della terra, che dalla
loro hanno solo la sovrappopolazione e la disperazione. In questo vedo un
aspetto paradossalmente positivo. Se in passato l’effetto di una diffusione dei
più ‘forti’ finiva per comportare la marginalizzazione delle popolazioni che
incontravano, oggi a governare la scena ci sono, ci devono essere da parte
nostra altre parole-chiave: accoglienza e integrazione”.
Anna Maria Isastia
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