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L’8 marzo 2016, in concomitanza
con la Giornata internazionale della Donna, e in collaborazione con il
Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio parte il mese delle STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) promosso
dal Miur, con il logo “Le studentesse vogliono “contare”!”.
L’iniziativa si inquadra
nella strategia di attuazione del comma 16 della legge 107/2015 e
della promozione delle pari opportunità volte a contrastare anche gli stereotipi
di genere.
Uno degli
stereotipi esistenti dentro il sistema formativo è quello di una presunta
scarsa attitudine delle studentesse verso le discipline STEM (Science,
Technology, Engineering, Mathematics) che conduce a un divario di genere in questi
ambiti sia interno al percorso di studi che nelle scelte di orientamento prima
e professionali poi. Solo il 38% delle studentesse indirizza il proprio
percorso formativo verso le discipline cosiddette STEM. Il dato, evidentemente
ancora troppo basso, si presta a molteplici letture di carattere sociale,
culturale e anche educativo/orientativo.
Alla luce delle
sfide tecnologiche sempre più pressanti e della possibilità professionali e occupazionali
crescenti negli ambiti produttivi ed economici legati alle nuove tecnologie,
diventa necessario far acquisire alle studentesse la consapevolezza
dell’irrinunciabilità del proprio pari contributo allo sviluppo sociale e
culturale del Paese anche in ambiti “tradizionalmente” ed erroneamente poco
attrattivi per le donne.
L’intento più
generale di questa iniziativa è dunque quello di contrastare fin dall’ambito formativo
gli stereotipi che vogliono le donne scarsamente predisposte verso lo studio
delle STEM e meno interessate a intraprendere studi e professioni tecnologiche
e digitali, rimuovendo gli ostacoli di tipo culturale, sensibilizzando docenti
e studenti e valorizzando il talento degli studenti e delle studentesse insieme
in tali ambiti.
Perché si è
resa necessaria una tale iniziativa? Perché le donne sono così scarsamente
presenti in certi contesti professionali? Perché ancora oggi si ritiene che le
donne siano meno versate per determinate discipline, anche se i dati ci dicono
il contrario?
Le statistiche
dimostrano che a scuola ragazze e ragazzi hanno risultati analoghi in campo
scientifico e spesso le studentesse prendono voti più alti degli studenti anche
in matematica, fisica, scienze.
Poi però
l’appartenenza di genere influenza le scelte in campo formativo e lavorativo e
di conseguenza troviamo meno donne iscritte a facoltà ad alto contenuto
tecnico-scientifico e meno ragazzi iscritti a facoltà umanistiche. Oggi su 100
laureati, 58 sono donne, ma se gettiamo uno sguardo ai laureati per gruppi
disciplinari si evidenzia subito che le donne laureate in ingegneria sono 20 su
100, mentre salgono a 92 su 100 nelle materie che portano all’insegnamento.
Nell’ambito del
dottorato di ricerca le donne sono ancora in maggioranza: 52 su 100 sono
dottori di ricerca. Quando però si presentano ai concorsi di ricercatore, la
prevalenza maschile comincia a delinearsi nettamente: le donne si fermano al
42% anche se hanno ottimi titoli formativi e pubblicazioni migliori. I dati
europei ci dicono che la presenza femminile nel mondo scientifico è in media
del 38% e l’Italia è allineata su questi dati.
Le donne fanno
meno carriera degli uomini e accedono con più difficoltà ai fondi di ricerca
che sono indispensabili per produrre risultati scientifici.
Due
ricercatrici dell’università di Goteborg in Svezia, quindici anni fa pubblicarono
sulla rivista Nature un articolo che
fece scalpore: le due studiose affermarono che così come Virginia Woolf aveva
bisogno di danaro e di ‘una stanza tutta per sé’ per scrivere romanzi, anche le
donne ricercatrici hanno bisogno di soldi, di strutture e di una ‘cattedra
tutta per sé’, per produrre risultati e avanzamento della conoscenza.
Una indagine
sulla assegnazione dei fondi di ricerca documenta con facilità che, a parità di
titoli, l’uomo è preferito alla donna perché considerato più competente.
I dati italiani
e quelli europei non si discostano molto da quelli elaborati dalla New Jersey
Institute of Technology.
In America, le
donne rappresentano circa il 50% della popolazione e costituiscono il 47% della
forza lavoro, ma rappresentano solo il 24% della forza lavoro STEM. Le donne sono
il 53% nel campo delle scienze sociali e il 51% delle scienze biologiche e
mediche. Al contrario, costituiscono solo il 13% nel campo dell'ingegneria e
del 26% nel campo dell'informatica e delle scienze matematiche.
Ancora una volta,
nell’affrontare questioni che attengono al ritardo femminile in tanti ambiti
lavorativi, ci rendiamo conto che l’esclusione e la cancellazione della memoria
partono da molto lontano e restano costanti nel tempo.
Quanti sanno o
ricordano che in tempi molto lontani da noi Teano di Crotone, moglie di Pitagora
assunse la guida della scuola alla morte del maestro? Questa informazione ci
indica che la moglie aveva le stesse conoscenze del marito e la sua stessa
cultura, ma mentre tutti sanno chi era Pitagora, chi ha mai sentito nominare
Teano?
Le donne cui è
stato permesso di avvicinarsi alla cultura erano mogli di o figlie di. Era una
figlia Ipazia, il cui padre Teone volle farla studiare con i risultati che
conosciamo. L’astronoma Caroline Herchel poté fare ricerca grazie al fratello
William. I fondatori della chimica moderna sono i coniugi Lavoisier,
Antoine-Laurent e Marie-Anne Pierrette Paulze, che
divenne nel tempo la sua collaboratrice scientifica, tradusse opere
dall'inglese e illustrò i suoi libri.
Sono molte le donne che hanno potuto dimostrare le loro
capacità per motivi del tutto particolari come capitò a Emily Warren
Roebling, moglie di Washington Roebling capo ingegnere del ponte di Brooklyn che
portò a compimento l’opera del marito quando questi rimase paralizzato in
conseguenza di una embolia gassosa, a seguito delle immersioni nelle camere di
scavo sottomarine. Fu lei a terminare, nel 1883, un’opera costata 15,5
milioni di dollari dell'epoca, che richiese la manodopera di 600 operai.
In genere la memoria collettiva e gli studi ricordano
il nome dell’uomo e cancellano quello della donna, relegata al massimo nel
ruolo di collaboratrice o esecutrice.
Un altro dato non secondario è legato al fatto che, in
passato, le donne colte che scrivevano e pubblicavano lo facevano in maniera
anonima oppure pubblicavano con il nome del marito o ancora con uno pseudonimo
maschile.
Sophie Germain,
nell’Ottocento si firmava Monsieur Le Blanc per poter corrispondere col
matematico Lagrange e sottoporgli i suoi lavori. Paradossale è la vicenda di
Trotula de Ruggiero, medica medievale della rinomata Scuola delle Mulieres
salernitanae: nonostante firmasse le sue opere col proprio nome, nelle
trascrizioni successive questo fu cambiato nel maschile Trottus, probabilmente
perché era impensabile che una donna avesse delle competenze in campo medico.
A metà Ottocento a Parigi Cristina Trivulzio traduce in
francese l’intera opera di Giovan Battista Vico e pubblica il trattato di
teologia Essai sur la formation du dogme catholique. Entrambi i lavori vengono
pubblicati anonimi, ma tutti ne conoscono l’autrice e proprio per questo sono
accolti da incredulità e ironie diffuse. Le attività della principessa di
Belgiojoso creano disagio e incomprensione, sia che voglia imporre la sua
presenza di donna che non rispetta le convenzioni sociali del suo tempo, sia
che manifesti un suo autonomo modo di ragionare su temi per tradizione
monopolio della cultura maschile, come la speculazione filosofica. Si nega che
una donna possa avere un pensiero “forte”, dato che il pensiero sarebbe per sua
essenza “virile” e dunque non dovrebbe poter diventare “le caprice d’une femme
à la mode”.
Considerazioni molto
simili si possono fare per l’inglese Ada Lovelace figlia di Lord Byron e una delle
donne più famose in Inghilterra e in Europa grazie alla sua passione e al suo
indiscusso talento per la matematica
cui era stata iniziata dalla madre. Nei suoi scritti Ada sottolineava spesso la
frustrazione per il disprezzo e la mancanza di considerazione con cui si
trovava a fare i conti ogni giorno. Ad appena diciassette anni conobbe Charles Babbage, che stava lavorando
alla sua macchina analitica, un vero computer ante
litteram. Collaborando con il padre dell’informatica, questa giovane
donna elaborò un algoritmo che viene oggi riconosciuto come il primo programma informatico della
storia. Inoltre fu proprio dal lavoro di Ada, che Alan Turing prese l’ispirazione necessaria per costruire il primo moderno computer. Oggi Ada Lovelace è considerata il simbolo di tutte le donne che
dedicano la loro vita alla scienza e alla ricerca, ma a lungo il suo
contributo venne deliberatamente ignorato e sottovalutato. Solo nel 1979 il
Ministero della Difesa statunitense onorò la sua memoria e il suo lavoro
chiamando “ Ada” un linguaggio di programmazione.
Ho fatto solo pochi esempi, a titolo esemplificativo, ma i casi di studio
sono tanti[1]
e spiegano, forse, perché, ancora oggi, lo stereotipo fa aggio su una realtà
che è stata a lungo negata o sottaciuta.
Anna Maria Isastia
Anna Maria Isastia
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