Sono stata in Libano ad ottobre 2019 e ho assistito il 17 ottobre
all'inizio della rivolta popolare contro la classe dirigente corrotta: i
giovani e poi tutto il paese contro il potere costituito.
Il Libano è grande quanto una regione italiana di piccole dimensioni.
Ha 4 milioni di abitanti metà dei quali gravitano sulla capitale Beirut. E’ un
paese militarizzato. Militari e poliziotti sono presenti ovunque. All'ingresso
dell’hotel dove alloggiavamo c’era il metal detector. Le auto che volevano
parcheggiare nel garage dell’albergo erano accuratamente controllate anche
sotto al pianale con lo specchio. Ci sono posti di blocco lungo le vie che
collegano una città all'altra. Posti di blocco ad ogni punto di passaggio da
una regione all'altra. La regione del nord, con capitale Tripoli, è in mano
agli Hezbollah che si riconoscono dalla divisa diversa da quella di esercito e
polizia.
Il Libano è diventato un paese povero. Le sole coltivazioni sono quelle
delle banane che crescono da sole e non hanno bisogno di cure e degli ulivi. La
guerra civile degli anni Settanta ha economicamente distrutto il paese cui è
rimasto solo il turismo e la cucina, giustamente famosa.
Doveva essere una bella città Beirut fino al 1975 quando fu in larga
parte distrutta dalla guerra civile. Camminando per la città, nascosti dagli
enormi grattacieli di alberghi, banche, abitazioni, si scoprono deliziosi
edifici di due, tre piani in stato di abbandono. Bisogna però camminare a piedi
e da soli per non essere distratti da altro.
Il traffico è folle in tutto il Libano. Macchine e moto sono guidate
in modo inconcepibile, senza regole, contromano, attraversando senza
rallentare, infilandosi ovunque.
Dall'alto del pullman la situazione appare caotica e pericolosa, ma il
pullman stesso può prendere una corsia a senso unico al contrario, può bloccare
il traffico per fare inversione di marcia su una strada a scorrimento veloce,
ma anche in un viottolo. Veder guidare è uno spettacolo. I motorini si infilano
sotto il pullman in manovra, le macchine si comportano come fossero pedoni. Non
esiste l’assicurazione obbligatoria. Dunque ci si affida alla sorte.
Il malessere covava nel paese da tempo. Ci hanno raccontato subito
della grande corruzione che regna ovunque, della spartizione del potere tra
gruppi religiosi che sono soprattutto gruppi di potere che si reggono sul
clientelismo da una parte e su ricche tangenti dall'altro. I più importanti
sono tre, ma in totale si arriva a ben 17 gruppi affaristico-politico-religiosi.
Appena arrivati abbiamo assistito ad una serie di incendi scoppiati
contemporaneamente in luoghi diversi del paese e domati a fatica. Conseguenza
immediata: continue interruzioni della corrente elettrica. Sono rimasta due
volte bloccata in ascensore per pochi minuti.
La notizia della nuova tassa di 20 centesimi di dollaro messa dal
governo sulla prima chat quotidiana mandata su WhatsApp, tutti i giorni da
tutti, si è diffusa in un lampo. Anche i turisti ne sono venuti immediatamente
a conoscenza. I libanesi sono impoveriti dalla crisi economica che va avanti da
mesi e pagano già tariffe tra le più alte al mondo per i servizi cellulari. La
notte del 17 ottobre nella capitale è scoppiata la rivolta e i giovani sono
scesi in piazza. A Beirut sono tutti giovani o almeno io ho visto solo giovani:
nei locali, per le strade, in piazza, ovunque.
Il provvedimento è stato subito ritirato ma i rivoltosi hanno bloccato
le strade della città dando fuoco ai cassonetti e ai pneumatici ammucchiati
ovunque.
Il 18 ottobre mattina la rivolta era in pieno svolgimento, cortei di
motorini schiamazzanti giravano ovunque e i turisti sono stati vivamente
consigliati di non muoversi. C’è chi si è spinto fino alla piazza dei Martiri
simpatizzando con i ragazzi e facendo selfie, chi come me si è limitato a
perlustrare con calma la zona intorno all’albergo e ha comprato spezie nei
negozi del quartiere.
Dopo pranzo però abbiamo provato a raggiungere il Museo nazionale. Ci
sembrava una missione possibile e poco rischiosa. Non è stato così!
L’agenzia ha mandato due anonimi pulmini bianchi da 8 /10 posti
ciascuno con due autisti kamikaze. Io ho preso posto davanti, accanto
all’autista di una delle due macchine, mai immaginando quello che avrei visto.
L’autista è partito sgommando e guidando velocissimo, facendo il pelo
a pedoni e a chiunque trovasse sul suo percorso, percorrendo strade
strettissime ad andatura impossibile, rischiando scontri continui. Ha preso le
strade contromano facendo continue gimkane tra i blocchi stradali, ma arrivati
finalmente su un largo viale a doppia corsia ci siamo resi conto che era
impossibile proseguire. Davanti a noi si
vedevano chiaramente ben tre sbarramenti successivi creati con cassonetti,
dissuasori e gomme d’auto. Le barricate erano presidiate da gruppi di giovani
che non sembravano molto disponibili a condividere i nostri interessi
turistici.
Dopo un breve conciliabolo abbiamo convenuto che si poteva solo
cercare di tornare indietro. L’autista era sempre più preoccupato per noi, ma
anche per la macchina che guidava. Le possibilità di circolare per Beirut
diminuivano di minuto in minuto. Gruppi di ragazzi davano vita a sempre nuovi
blocchi e apparivano sempre più determinati a non far passare nessuno.
L’autista era sempre più preoccupato, aggrediva la strada, era prepotente, non
lasciava passare né auto né pedoni. Cambiava continuamente percorso appena scorgeva
blocchi in lontananza. Abbiamo fatto giri incredibili, avanti e indietro nel
tentativo di trovare un varco da attraversare. Abbiamo parlamentato con gruppi
di giovani che sembravano disponibili a farci passare salvo scoprire dopo poche
centinaia di metri che la strada era bloccata da cassonetti in fiamme. Ci
avevano preso in giro. Ho saputo poi che alcuni gruppi di turisti hanno pagato
per poter rientrare negli alberghi.
Ad un certo punto la nostra guida è scesa dal pulmino e ha spostato a
calci un paio di cassonetti che avevano finito di bruciare, per creare un varco
per le due vetture. I responsabili del nostro gruppetto apparivano sempre più
preoccupati. Hanno avuto timore che i pulmini potessero venire attaccati? Sicuramente hanno guidato a rotta di collo.
Avvistato l’ingresso dell’albergo ci siamo tutti rilassati.
Il giorno dopo la situazione sembrava tranquilla. Siamo partiti in
direzione sud verso i monti Chouf per visitare il villaggio di Deir El Kamar,
residenza dei governatori ottomani del
Libano nel XVI e XVII secolo. Un blocco stradale ci ha costretti ad una
deviazione che sarebbe stata indolore se ci fosse stato un minimo di ordine, ma
così non era. La strada era a doppio senso di circolazione ma le macchine
occupavano tutta la larghezza della strada sia in un senso che in un altro con
il risultato che stavano tutti fermi. Con l’aiuto di alcuni volontari si è
infine creato un varco dove le macchine sono riuscite a passare guadagnando
infine di nuovo la strada principale.
Era previsto che il nostro pranzo si svolgesse al Mir Amin Palace a
Beit Eddine in una dimora del XIX secolo. Non era invece previsto che potessimo
trovarci coinvolti in un ricco matrimonio druso con la bellissima sposa,
vestita come nelle fiabe e molto scollata mentre la madre e la sorella dello
sposo avevano un lungo e accollato abito nero e la testa nascosta da una sciarpa
bianca che copriva, o meglio costringeva la bocca nascondendola completamente.
Il contrasto era stridente ma apparivano tutti a loro completo agio. Foto, filmati e drone che seguiva sposi ed invitati. La cosa più divertente è che ad un certo punto hanno cominciato a fotografare noi che scattavamo foto a loro. Gli sposi sono entrati nella sala del matrimonio ballando, accompagnati da suonatori tradizionali che facevano un suono allegro e martellante e con loro ballavano gli ospiti mentre i camerieri servivano bibite e antipasti. Il tutto prima dello scambio nuziale che non abbiamo visto per motivi di tempo. Ci avevano invitato a restare!
Gli sposi
Madre e sorella dello sposo
Gli invitati
Il contrasto era stridente ma apparivano tutti a loro completo agio. Foto, filmati e drone che seguiva sposi ed invitati. La cosa più divertente è che ad un certo punto hanno cominciato a fotografare noi che scattavamo foto a loro. Gli sposi sono entrati nella sala del matrimonio ballando, accompagnati da suonatori tradizionali che facevano un suono allegro e martellante e con loro ballavano gli ospiti mentre i camerieri servivano bibite e antipasti. Il tutto prima dello scambio nuziale che non abbiamo visto per motivi di tempo. Ci avevano invitato a restare!
Dopo aver visitato il Castello di Beit Eddine, dimora estiva del
presidente della repubblica, abbiamo fatto ritorno a Beirut, ancora una volta
facendo la gimkana tra i blocchi stradali.
La domenica mattina siamo finalmente andati al Museo nazionale
indubbiamente molto interessante, ma le cose più interessanti si svolgevano in
strada. Ragazzi issati sui camion che suonavano a volume altissimo canti
rivoluzionari, ballavano e simpatizzavano con chiunque si avvicinasse. Frotte
di motorini che attraversavano la città, bandiere ovunque, tanta allegria e una
sola richiesta: tutti a casa, se ne devono andare tutti. Stava montando una
nuova gigantesca onda che nel pomeriggio ha definitivamente bloccato la città
di Beirut impedendo qualsiasi spostamento. Posso dire che la città si è chiusa
dietro di noi che abbiamo raggiunto l’aeroporto solo grazie all'esercito che
teneva aperta la strada per arrivarci.
Strada verso l'aeroporto
Tornata a Roma mi ha stupito il silenzio di giornali e telegiornali.
Le nuove generazioni se la sono presa con tutti: i sunniti con il capo
del governo Saad Hariri, gli sciiti con gli Hezbollah e il loro capo Hassan
Nasrallah, i cristiani con il ministro degli esteri Gibran Bassil suocero del
presidente Michel Aoun. Non si salva nessuno, tutti contro quelli che hanno il
potere, che considerano corrotti, che controllano tutto e tutti.
Per la prima volta nella storia del paese cristiani, musulmani,
sciiti, drusi, armeni, alauiti hanno fatto fronte comune.
La rivolta popolare spontanea si è estesa a tutte le città libanesi da
Tiro a Tripoli, da Nabatiyek a Baalbek, da Beirut a Sidone. L’unica bandiera
che sventola è quella libanese, non ci sono bandiere di parte.
Il capo del governo ha provato a mediare, ha promesso riforme, ha
tagliato del 50% gli stipendi dei parlamentari; Nasrallah ha minacciato di
scendere in piazza.
I libanesi chiedono invece un paese laico e una nuova classe dirigente.
Alla fine di ottobre c’è stato un attacco degli Hezbollah all'accampamento di piazza dei Martiri. Hanno fatto danni ma hanno dovuto battere in ritirata.
Il 29 ottobre Hariri ha ceduto alla piazza e ha annunciato le dimissioni, ma il
presidente Aoun gli ha chiesto di restare in carica.
Le banche, le scuole e l’università sono chiuse dal 17 ottobre. Le
banche riapriranno il 1 novembre mentre le scuole rimarranno ancora chiuse.
Nel frattempo è stato creato un sito per ritrovare quel ragazzo o
quella ragazza incrociati un momento e poi perduti. L’account Instagram
@thawracrushes (le cotte della rivoluzione) è seguito da settemila persone. Si
manda la foto della persona sconosciuta e si chiede aiuto per ritrovarla.
Potrebbe essere molto pericoloso perché i rivoltosi si stanno schedando da
soli, ma i giovani a questo non pensano.
La tensione rischia di salire nei prossimi giorni perché i rivoltosi
vogliono mandare tutti a casa e andare alle urne mentre chi detiene il potere
non intende affatto lasciarlo.
Un libanese con cui sono in contatto si dice sicuro che stanno andando
nella direzione giusta. Il capo del governo si è dimesso e devono costringere
alle dimissioni anche il capo dello Stato per andare alle elezioni anticipate. Ero
partita per il Libano per non pensare e mi sono trovata testimone di un momento
storico. La vita è veramente imprevedibile.
(testo e fotografie di Anna Maria Isastia - ottobre 2019)